Varazze riscopre il fagiolo rosso e "sfida" il bianco di Pigna

La collina di Varazze punteggiata di un rosso intenso dato dai baccelli di fagiolo di una coltura intensiva, quasi esclusiva, sui suoi terrazzamenti. È un’immagine suggestiva ma reale, che arriva direttamente dagli Anni Sessanta del ventesimo secolo, quando i fagioli rappresentavano quasi una monocoltura nella vasta zona, in un comprensorio ricchissimo di acqua, indispensabile ad alimentare queste piante aggrappate alle canne allineate sulle fasce.

E ora, a distanza di cinquant’anni, grazie all’impegno di alcuni coltivatori – figli e nipoti di contadini – ad Alpicella è da poco, seppur lentamente, ripresa la coltivazione del “fagiolo Lumé”, un prodotto che dall’aspetto esteriore ha similitudini con il noto borlotto, ma che da un’attenta analisi presenta proprietà organolettiche e di sapore assolutamente unici. I primi fagioli rossi di Alpicella arrivati dalle colture – da definire quasi “sperimentali” – della frazione varazzina, sono stati presentati alla Festa dei Presìdi Sloow Food che si è svolta alla serata organizzata al ristorante Il Mulino, sempre a Varazze. I prodotti sono derivati direttamente dalle sementi originarie, tenute gelosamente da alcuni agricoltori della zona sotto il monte Beigua, e poi messe a dimora sotto la spinta di Silvano Ferro, autentico “testimonial” della coltura tradizionale del fagiolo rosso degli Anni Dieci del 2000.

Un’operazione che ha richiesto tempo, oltre che rinnovato impegno da parte dei contadini che hanno deciso di riprendere questa attività che, fino agli Anni Sessanta del ‘900, dava da vivere a molte famiglie e forniva l’alimento principale di diverse tavole sulle quali la carne faceva la sua apparizione due o tre volte l’anno. Tra gli Anni ‘50 e ’60, ad Alpicella era attivo anche un Consorzio del fagiolo Lumé i cui addetti erano incaricati di portare il raccolto al mercato di Genova Brignole, dove il prodotto veniva commercializzato con grande successo.

Che senso ha riprendere ora una coltura di questo tipo? “È una forma di ritorno alla tradizione – dice Silvano Ferro – in grado di farci riscoprire sapori e aromi che rischiavano di scomparire definitivamente. È lo stesso concetto della Zeaìa di gennaio: quanto più riusciamo a suscitare interesse per le tipicità più autentiche del nostro entroterra, tanto più si rivitalizzerà la nostra collina. Nel segno delle produzioni agricole e della gastronomia di eccellenza”.

Alla serata dei Presìdi Slow Food come è stato accolto il fagiolo rosso? “Con grande curiosità, un po’ di sorpresa ma anche interesse, in quanto abbiamo parlato soprattutto dei piccoli produttori, tema Slow per eccellenza. E, un po’ per gioco e un po’ sul serio, abbiamo lanciato pure una sorta di simpatica sfida con il fagiolo bianco di Pigna, che è presidio Slow Food, in quanto era presente con i suoi prodotti Roberto Rebaudo del Consorzio di Conio-Badalucco-Pigna. E chissà: già entro quest’anno riusciremo ad organizzare qualche iniziativa tra Alpicella e Pigna con ricette a base di fagioli liguri. Il rosso e il bianco, per cominciare”.