Toccherà, a “Chitarre Corsare”, spettacolo teatrale in forma di concerto su testi e musiche di De André, Paganini, Mazzini e Taraffo, chiudere sabato 10 aprile, all’Auditorium di Santa Caterina in Finalborgo, la stagione del Comune di Finale Ligure inserita nel circuito provinciale La Riviera dei Teatri (vendita biglietti: Libreria Centofiori, via Ghiglieri 1, Finale Ligure. Tel. 019.692319). Con questo spettacolo Teatri Possibili Liguria, dopo il successo di Viaggiatori Viaggianti, partecipa, con il contributo della Regione, alla valorizzazione del patrimonio culturale e artistico ligure portando in scena la vita, le vicende, le musiche e le parole di quattro dei più grandi liguri conosciuti al mondo: Niccolò Paganini, Giuseppe Mazzini, Pasquale Taraffo e Fabrizio De André.

È noto che Paganini fosse un conoscitore della chitarra che spesso è presente nei suoi quartetti con i duo violino e chitarra, ma stupisce che il celebre musicista come chitarrista fosse addirittura un autentico virtuoso dello strumento. Paganini non riuscì a sottrarsi al fascino di questo strumento e molti dei suoi arpeggi, accordi e bicordi adottati sul violino, erano trasposizioni di idee chitarristiche che ben conosceva. La sua iniziale formazione vide lo studio oltre che del violino anche del mandolino genovese, strumento che monta curiosamente sei corde come la chitarra e della chitarra stessa. Paganini per tre anni lasciò lo studio del violino per dedicarsi alla chitarra raggiungendo livelli virtuosistici. Molti studiosi sostengono che la sua grande abilità di violinista sia dovuta anche alla contaminazione fra le varie tecniche: la chitarra, il mandolino genovese e il violino.

Anche Giuseppe Mazzini era un appassionato chitarrista: ancora oggi nella casa in via Lomellini a Genova é esposta la sua chitarra e nelle lettere che esule scriveva alla madre spesso si citano brani che egli suonava anche in duo col flauto o il violino. Scriveva: “Me ne vivo sempre più nascosto, qui tra le valli svizzere, dove soffro parecchio per le ristrettezze della vita quotidiana e per il timore di essere trovato dalle guardie. Tra un trasloco e l’altro, una dimora e un’altra, non ho più con me neanche la chitarra, che mi faceva tanta compagnia. Ma il tempo è mutato in dolcissimo. Spesso non c’è una nuvola; ieri sono uscita a vedere il tramonto: che spettacolo! Le Alpi in faccia, il Jura alle spalle, non un rumore se non dei campanelli che hanno al collo gli armenti e di qualche canto di mandriano. Sono curiosi questi canti: consistono in un continuo saliscendi dal basso all’acuto che ha qualcosa di doloroso. Dovrei dire di dolcemente doloroso. La nostra gola non lo può rendere. Appena riavrò la chitarra con me ne scriverò qualcosa, voglio provarmici. Del resto mi è sempre più rischioso uscire all’aperto. Da alcuni giorni non ho giornali: il mondo per me è come se non esistesse. Esistesse almeno la mia chitarra e tutti i miei libri. Ma che farci? Pazienza. E tempo. Bisogna stare molto attenti; l’Italia viene prima di tutto. Molte sono le cose da fare, da organizzare, da pensare. Ecco: ho bisogno di libri. Per pensare. Io potrei vivere tutta la mia vita chiuso in una camera. Ma così: senza libri, senza chitarra e senza cielo sarebbe troppo”.

Chitarrista unico al mondo nel genere popolare, Pasquale Taraffo nasce a Genova nel 1887. Per lui la chitarra a sei corde si rivela presto troppo limitata nei suoni, anche perché, andando incontro ai gusti dell’epoca, egli si dedica ad esecuzioni al di fuori del normale repertorio chitarristico popolare e con l’aiuto del liutaio Settimio Gazzo realizza una speciale chitarra a quattordici corde, che in seguito verrà sostenuta da un piedestallo. Nel 1910, già apprezzato in ambito nazionale, egli si reca a Barcellona dove, dopo aver tenuto concerti per quaranta notti consecutive nello stesso locale, verrà indicato come El dios de la Guitarra.

Ritornato in patria, consolida le sue affermazioni esibendosi in molti teatri dove si tengono spettacoli di Gran Varietà, allora molto in uso anche perché non sono ancora apparsi il cinema, la radio, i dischi e la televisione. Il bisogno di farsi conoscere all’estero si fa sentire tanto che nel settembre 1925 si presenta a Buenos Aires dove, non avendo credenziali, va in cerca di un qualche impresario che lo ascolti. L’ascolto avverrà dopo pochi giorni, in presenza della stampa che, vinta la diffidenza iniziale, ne tesserà ampie lodi specialmente dopo i concerti allo Smart Theatre e in altri teatri.

Nel maggio del 1926, è di nuovo in Italia, dove tiene una serie di concerti, sempre intrattenendo il pubblico come solista ma, a settembre dello stesso anno, ritorna in Sud America dove consolida i suoi successi attraverso concerti in varie località, come al Royal Theatre di Montevideo (24 settembre 1927) con ampi consensi sia del pubblico che della stampa.

Dal dicembre 1928 sino a metà giugno del 1929 lo troviamo negli Stati Uniti, sei mesi a New York e dintorni, un mese in California. Questa trasferta sarà densa di eventi importanti e di grandi riconoscimenti. Il 19 dicembre è ripreso in un breve film. Il 23 dicembre si esibisce, sempre da solista, al Teatro Gallo di New York. A questo concerto sono presenti molte autorità cittadine e, fatto considerevole, cantanti del Metropolitan e del mondo musicale non popolare. Tornato a casa, continua sia l’attività concertistica che le incisioni discografiche, ma non ne coglie risultati economici soddisfacenti, nonostante la fama acquisita, forse a causa del suo carattere estremamente chiuso o della non sufficiente capacità nel promuovere la propria immagine. Stanco di solitarie imprese, desideroso di assicurarsi un introito certo e meno faticoso, entra a far parte dell’orchestra del maestro argentino Edoardo Bianco insieme all’amico cantante genovese Mario Cappello.

Con questa orchestra, che si esibisce sul transatlantico “Conte Grande”, Taraffo partecipa a tre crociere che si svolgono prevalentemente nel Mediterraneo. Avrà modo di farsi apprezzare sia a bordo che a terra nei vari porti toccati dalla nave su cui rimane dalla metà di luglio alla metà di settembre dell’anno 1933. Ancora in questo anno ritorna in Sud America per una tournée e, al ritorno, passa per New York, dove i suoi ammiratori organizzano un concerto con pranzo di festeggiamento presso il Balilla’s Restaurant. Dopo soli cinque giorni, il 10 gennaio 1934, si imbarca sulla nave “Roma” per lasciare gli Stati Uniti ove, purtroppo, non farà più ritorno. Per tutta la restante parte dell’anno e inizio 1935, fa parte dell’orchestra di Edoardo Bianco, con l’amico Mario Cappello, tenendo concerti in tutta Europa e parte dell’Asia.

Ai primi di agosto del 1936, torna in Argentina insieme a Cappello, insieme partecipano a molti concerti e trasmissioni radiofoniche a Radio Cultura e Radio Fenix. I due hanno in programma una tournée in America Latina, ma Pasquale viene ricoverato presso l’ospedale Ramos Mejia ove decede alle ore 22:45 del 24 aprile 1937 a soli cinquanta anni. È sepolto nel cimitero della Chacarita da dove le sue spoglie hanno più fatto ritorno in patria.

Infine Fabrizio De André: le sue parole non possono prescindere dalla sua chitarra, dalla quale non si è mai separato fino alla fine.