di Giorgio Massa (A.P.I.) – Mi permetto di formulare qualche osservazione personale, senza nessuna pretesa, aperto ad uno scambio di idee con chi le ritenesse inesatte o discutibili.

È assodato che l’esercizio di ogni confessione religiosa sia libero. Tanto è sancito dalla nostra bellissima ed intoccabile Costituzione. Pur se da qualcuno, recentemente, inspiegabilmente definita inadeguata perché non contente richiami al libero mercato, alla concorrenza e al merito..!!??!!!

…Come se valori senza tempo e diritti della persona sia lecito debbano subire condizionamenti e adeguamenti per sopravvenute nuove esigenze aziendalistiche, di marketing e meritocratiche..!!!??!!! Paradossali e pericolose intenzioni quelle auspicate da alcuni aspiranti revisionisti storici DI DESTRA.

Nemmeno qualche ardimentoso neo-secessionista o scettico, credo possa permettersi di “toccarne” finanche il supporto cartaceo, della nostra Carta..! Tralasciando gli aspetti politici, pur “acclarando” che di politico -nella migliore accezione del termine- hanno ben poco, mi soffermo sugli aspetti ETICI oltre che giuridicamente concreti, cioè delle parti della Costituzione ove si tratta del culto religioso.

All’Art. 3 si evince che la differenza di religione non può determinare nessuna disuguaglianza né alcuna differente dignità sociale. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Anzi! dovrebbe essere nostro compito rimuovere gli elementi ostativi allo sviluppo della persona umana: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Le stesse incontrovertibili indicazioni sono espresse all’Art. 8: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”. Qui troviamo un’interessante disposto, necessariamente teso a ribadire il concetto della sovranità dello Stato che espleta con l’ordinamento giuridico: “Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Altra bellissima dichiarazione di libertà è contenuta nell’Art. 19, ove si pone un limite soltanto per quanto riguarda aspetti del “buon costume”: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.

La formula di estrema tutela per i culti religiosi si enuncia però nell’Art. 20 e in particolar modo si trova un esaustivo e perfettamente aderente richiamo alla misura preannunciata dal Sindaco, relativamente alla tassa di occupazione del suolo pubblico: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”.

Dalla lettura del T.U.L.P.S.:Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773 ” Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza “, si desumono norme, tuttora vigenti, che, tese alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, sottopongono le cerimonie religiose (la pratica di preghiera musulmana potrebbe essere assimilata a tale forma?) e le processioni ad un iter, la cui potestà autorizzativa compete al Questore.

“CAPO II – DELLE CERIMONIE RELIGIOSE FUORI DEI TEMPLI E DELLE PROCESSIONI ECCLESIASTICHE O CIVILI Art. 25: Chi promuove o dirige funzioni, cerimonie o pratiche religiose fuori dei luoghi destinati al culto, ovvero processioni ecclesiastiche o civili nelle pubbliche vie, deve darne avviso, almeno tre giorni prima, al Questore. Il contravventore è punito con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda fino ad € 51,00. Regolamento (Art. 29, Art. 30, Art. 31)”

Anzi! Nei disposti dell’Art. 26, si evince che, addirittura, il Questore potrebbe vietare cerimonie, funzioni e pratiche religiose: “Art. 26- Il Questore può vietare, per ragioni di ordine pubblico o di sanità pubblica, le funzioni, le cerimonie, le pratiche religiose e le processioni indicate nell’articolo precedente, o può prescrivere l’osservanza di determinate modalità, dandone, in ogni caso, avviso ai promotori almeno ventiquattro ore prima. Alle processioni sono, nel resto, applicabili le disposizioni del capo precedente”.

Pur non essendo un giurista ma un semplice cittadino, mi pare di comprendere che, l’adozione di eventuali limitazioni all’esercizio del culto possano competere soltanto al Questore, dietro effettive ragioni di ordine pubblico, e comunque non al Sindaco. A meno che i poteri di ordinanza possano spingersi anche in materia sì tanto delicata.

Pur essendo conscio delle possibilità ora offerte dal potere di ordinanza, in casi contingibili e di definita temporaneità, anche contra legem, mi parrebbe azzardato e quantomai pericoloso che un Sindaco si avventurasse in una tale disciplina, esponendosi a potenziali legittime azioni difensive da parte degli interessati. Tale considerazione risulta perfettamente aderente anche riguardo alle recenti ordinanze emesse in materia di orari delle attività artigianali e di assembramenti.

Mi pare ragionevole pensare che la particolare delicatezza della materia, afferente i fondamentali diritti della persona, è per questi motivi oggetto di trattazione della della nostra Costituzione. Mi sembra altrettanto logico e comprensibile che ogni azione o provvedimento che sia riferibile a tale tematica, il Legislatore si sia preoccupato di ricondurlo esclusivamente a motivazioni di ordine pubblico e ne abbia dato facoltà al Questore.

Per questo credo che ogni iniziativa o provvedimento che possa anche marginalmente essere riconducibile ad una forma di limitazione dell’esercizio di un culto religioso, la cui libertà è costituzionalmente sancita, debba essere “PRESO CON LE MOLLE”.

Sono convinto che il caso di cui si discute, ove si crede di poter applicare una tassa sulla preghiera sia uno di questi…!

In altri comuni una simile forzosa applicazione delle norme di occupazione del suolo pubblico, troppo assimilabili, di fatto, ad una potenziale restrizione o limitazione del diritto di culto, ha sollevato tensioni nella comunità e proteste, che non sono assolutamente utili per iniziare un auspicato processo di integrazione degli immigrati.

Premettendo che sono un cattolico praticante, non posso che essere aperto e garantista delle libertà di diverso culto, laddove questi non siano rispettosi delle libertà del prossimo e non peseguano nessun fine totalizzante o condizionante dei diritti fondamentali delle persone.

Mi preoccupano molto di più le manifestazioni di chiusura e (solo apparente) integralismo cattolico da cui traggono spunto alcune organizzazioni politiche, mai prima d’ora dichiaratesi aperte ai valori cristiani, piuttosto che un musulmano inginocchiato a pregare il suo Dio.

Intravedo, invece, quale possibile soluzione al problema, l’apertura alle esigenze della comunità islamica ingauna, avviando un processo di dialogo ad ampio spettro con loro, che potrebbe condurre ad inviduare un’area ove queste persone possano dedicarsi al loro culto. Dialogo che potrebbe contemplare anche la trattazione di fenomeni sociali della comunità immigrata che hanno verosimilmente generato l’emissione delle tanto discusse ordinanze ad Albenga.

Sono certo che continuando sulla strada della mera repressione, tralasciando qualsiasi opportunità di apertura e di dialogo civile, le tensioni sociali saranno destinate ad acuirsi e si innescherebbe un inevitabile “tourbillon” di azione-reazione pericoloso e destabilizzante.

Grazie dell’attenzione

* Giorgio Massa – Alleanza per l’Italia – Albenga