di Gino Rapa – Qualche giorno fa mi aggiravo, incuriosito, nell’atelier dello scultore Flavio Furlani: è un luogo magico. Una specie di capannone abbandonato con un grande cortile all’aperto dove puoi trovare quello che non ti aspetti: in un angolo il calco del busto di Antonio De Curtis, il grande Totò, nascosto da un vecchio gozzo ligure; sotto una tettoia il capo inghirlandato della ninfa Anthia, qua e là avambracci e piedi in gesso, resti di sculture o idee appena abbozzate. Al centro di un tavolone di legno, consumato dal tempo e dal lavoro, un impasto di creta ancora malleabile stava prendendo forma: si riconoscevano le torri di Albenga e si cominciava ad intravvedere la prua di un’antica nave romana con una grande vela. Al centro della vela, a mo’ di marchio, un disco, un tondo ancora da delineare e rifinire. “Quello sarà il piatto blu – mi anticipava con il suo eloquio travolgente Flavio-; ho voluto metterlo al centro di tutta la composizione a indicare che ormai fa parte integrante del patrimonio storico ingauno: le torri, la nave romana recuperata nelle acque dell’isola Gallinara e il piatto blu…il nostro piatto blu!” Nostro sì, ma sino a quando?

Forse gli Albenganesi ancora non sanno che rischiano di perdere questo preziosissimo reperto! Non tutti hanno ancora ben chiaro che “Magiche trasparenze” è una mostra e non un museo e che fra pochi mesi, a dicembre per l’esattezza, potrebbe chiudere per trasferirsi altrove. Anzi, pare che in un “altrove” non troppo lontano si siano già attrezzati per ospitare, questa volta in maniera definitiva, il “nostro” piatto blu. Sono solo voci, ma a certe voci bisogna dare credito. L’esperienza lo insegna. All’inizio del 2007 le stesse voci preannunciavano lo smantellamento graduale e ben motivato dell’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, da sempre nosocomio di riferimento e di eccellenza per tutto il Ponente e non solo, a favore di una grandiosa operazione immobiliare privata, benedetta da alcuni grossi calibri politici. Sembrava fantascienza. Oggi sta diventando realtà.

È ben vero che il piatto blu suscita appetiti meno voraci, ma per chi ama Albenga e ha a cuore la sua storia sarebbe comunque un sopruso inaccettabile. Già dal ritrovamento, avvenuto nel 1995, Albenga ha dovuto aspettare quindici anni per riaverlo e poterlo esporre. Aquileia, Vicenza, Roma, Genova, Rovigo hanno ospitato la mostra “Magiche trasparenze” prima di Albenga. Mi pare che gli Ingauni abbiano tollerato abbastanza.

Ricordo che quando il Piatto Blu fu esposto a Roma, a Palazzo Altemps, per tutta l’estate del 2007 fu visitato da migliaia di persone. E in quell’occasione il giornalista Matteo Metta scrisse su Il Sole 24 ore : “…un capolavoro assoluto che da solo vale il viaggio a Roma…con incisi nel blu cobalto due putti danzanti in onore di Bacco…due veri discoli dell’antichità…”. E, a proposito di discoli, i Fieui di caruggi, discoli ingauni del tempo passato e forse ancora di quello presente, stanno già preparando le loro fionde e sono pronti anche a gesti clamorosi per impedire lo “scippo” del piatto blu. Hanno già avuto contatti informali con Angelo Berlangieri, assessore al Turismo, Cultura e Spettacolo della Regione Liguria.

Ma a questo punto è d’obbligo una posizione ferma, chiara, decisa e soprattutto unitaria dell’Amministrazione Comunale o, meglio ancora, dell’intero Consiglio Comunale. È indispensabile la discesa in campo delle Associazioni culturali ed ambientaliste, da Tra le Torri a La Vecchia Albenga, da Librarsi al Centro di studi liguri, da Fischia il vento a Premio Albingaunum, da Zoo a Mareventi, dall’Università delle tre età alle varie sigle rappresentative dei commercianti e degli artigiani, dall’Ortofrutticola alla Floras, alle Scuole, ecc. È necessario che la sonnacchiosa Albenga si svegli, tutta e tutta insieme, in tempo utile. Sarebbe controproducente il solito mugugno tardivo: se il piatto blu lascerà il nostro centro storico sarà un viaggio di sola andata. Deve essere chiaro a tutti. Nessun Albenganese può delegare ad altri un impegno che lo tocca in prima persona.

Ma se l’auspicato scatto di orgoglio e di amore per la propria terra non ci sarà, rassegniamoci. Nella sala, oggi maestosamente occupata dal piatto, una volta rimasta vuota, potremo pur sempre collocare una statua all’ortolano del vecchio Trincheri, Nanin Pesseu, meglio noto come colui che pronunciò la frase divenuta proverbiale tra i suoi e nostri concittadini: Arbenga a nescia.

* Gino Rapa dei Fieui di caruggi