di Fabrizio Pinna – Spenti gli amplificatori e le luci, si è concluso intorno all’una con una session finale in acustica, piccolo “compromesso con i residenti nel palazzo alle spalle del palco”, il concerto dei Pasticcio Meticcio atteso nella penultima serata di Musica Migrante, la terza edizione del piccolo festival di musica popolare migrante inaugurato ad Albenga giovedì scorso.

Un paio d’ore di ottima musica nel solco di un repertorio vario che ha toccato ieri sera tradizioni contigue e distanti, dall’area mediterranea e dalle tarantelle (una anche da “spartito storico”, per così dire, del Seicento) alle melodie arabeggianti e greche, per poi guardare anche all’est europeo con ritmi e canzoni dalla Romania, dalla Bielorussia (con una canzone poi sfumata in un suggestivo meddley, rincorsa e chiusa in cerchio con le canzone più celebri della Resistenza, da Fischia il vento a Bella Ciao),  senza dimenticare qualche eco yiddish in fondo non estraneo anche alle tradizioni più mitteleuropee, come nel caso di una delicata ninna nanna eseguita. Tutto, insomma, nel particolare solco “sperimentale” di accostamenti inaugurato dal gruppo Pasticcio Meticcio, nato proprio ad Albenga nel 2008 da un’idea del versatile musicista Marco Tosto come progetto aperto che ancora oggi si sta sviluppando e che ha già avuto modo di farsi apprezzare da platee più ampie, come durante il Festival Suq di Genova, per limitarsi a un esempio significativo.

Il palco ha visto sul finale anche il debutto di una giovane musicista spagnola (sezione fiati, al corno), alla sua prima esperienza concertistica nella “grande famiglia” – come l’ha definita e definisce Tosto – dei Pasticcio Meticcio e gli “inserti danzanti” della musicista e ballerina romena Esther, che ha accompagnato alcune canzoni esibendosi in aggraziate e applaudite performance di danza del ventre. A completare il programma della serata, il “pre-concerto” dedicato alla musica nordeuropea d’Irlanda e Finlandia;  .

Il pubblico? Numeroso e vario anche ieri sera d’età e di provenienza geografica (si sentiva di qua e di là alzarsi un vocio, talvolta intrecciato anch’esso, in italiano, spagnolo, arabo, italiano…), residenti e turisti italiani e stranieri, dai giovani più “irrequieti” a coppie di anziani che ascoltavano compostamente seduti e incuriositi l’esplosione vitale di note e suoni, in un piccolo viaggio erratico fatto di sensazioni ed emozioni – più che di parole e immagini – che solo la musica riesce a trasmettere anche quando non una sola parola dei testi in lingua si comprende (yiddish, greco, arabo….). Un pubblico attento e divertito, ma forse un po’ timido nel lasciarsi andare e solo verso la fine del concerto è sceso nello spazio davanti al palco per ballare. Decisamente poco comprensibile invece la reazione di una parte del pubblico a un fuori programma iniziale che ha visto esibirsi tre musicisti romeni su un repertorio più classico: rumoreggiamenti e qualche fuga dalla platea sulle note… non di Bach ma di Mozart.

Oggi per il “piccolo festival di musica popolare migrante” è la giornata conclusiva. Per gli incontri del pomeriggio, Danilo Raimondo percorrerà l’evoluzione del suono a partire dalla preistoria. In serata, ultimi concerti con i gruppi Jarabi (ritmi afro-cubani) e il coro Dada ‘ncori’.

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