Proseguono gli appuntamenti con “Un libro per l’estate”, la rassegna di incontri con gli autori promossa dall’Assessorato alla cultura e al turismo del Comune di Finale Ligure in collaborazione con l’Associazione Amici del Libro e la Libreria Cento Fiori. Oggi, venerdì 30 luglio, alle 21 Rosa Matteucci presenterà al gazebo sul lungomare Migliorini, nei pressi di piazza di Spagna, il suo libro “Tutta mio padre”, edito da Bompiani. A condurre la serata sarà Graziella Frasca Gallo.

“Tutta mio padre” racconta l’elaborazione della scomparsa con una ferocia comica. La protagonista del nuovo romanzo della Matteucci, narra di lei e dei Suoi, nel momento in cui tutta la famiglia non c’è più. L’io narrante, “contessina decaduta”, racconta la vita stravagante di una famiglia ridotta sul lastrico, che tira avanti alla meglio. Tutti vivono di illusioni, di tic, di innocenti manie. Una storia unica, ineguagliata eppure simile a tutte le altre nel senso ultimo, da una prova di coraggio all’inevitabile disillusione che sublima la sofferenza. È un’Odissea da vertigine nell’Italia in bianco e nero del secolo scorso, con giganti, maghe, mostri marini e allegrie di naufragi, smitizzata da una prosa feroce e appassionata, colta e barocca eppur versata alle più impensate contaminazioni fino a farsi stile inconfondibile.

Rosa Matteucci è nata a Orvieto e vive a Genova. Il suo romanzo d’esordio “Lourdes” (pubblicato da Adelphi nel 1998), ha vinto nel 1999 del Premio Bagutta nella sezione Opera Prima, e il Premio Grinzane Cavour nella sezione Giovane Autore Esordiente. Nel 2003 ha pubblicato con Adelphi il romanzo “Libera la Karenina che è in te”, finalista al Premio Viareggio. Nel 2007 esce “Cuore di mamma” ancora con Adelphi, vincitore del Premio Grinzane Cavour nella sezione Narrativa Italiana. Nel 2008 pubblica per Rizzoli “India per signorine”, un romanzo sull’esperienza indiana della scrittrice. Nel 2010 pubblica per Bompiani il nuovo romanzo “Tutta mio padre”. Ha recitato nei film “Mi piace lavorare” (Mobbing) (2004), diretto da Francesca Comencini, e “La tigre e la neve” (2005), diretto da Roberto Benigni.

Tutta mio padre (ed. Bompiani) – “Qui non c’è più nessuno.” Una figlia smarrita, che ha perso padre madre e cane, chiosa: “Il cordoglio provato per la scomparsa dei genitori naturali è piscio di gallina in confronto al dolore irrimediabile che si prova per la morte del cane.” È solo l’inizio di un picaresco e straziante viaggio al termine della notte, a ritroso in un tempo spento e bruciante, alla ricerca dell’impossibile riscatto di una figura paterna speculare e complementare a quella dell’io narrante, che mette in scena con coraggio assoluto il gran teatro di splendori e miserie in una decadenza familiare. Una storia unica, ineguagliata eppure simile a tutte le altre nel senso ultimo, da una prova di coraggio all’inevitabile disillusione che sublima la sofferenza. È un’Odissea da vertigine nell’Italia in bianco e nero del secolo scorso, con giganti, maghe, mostri marini e allegrie di naufragi, smitizzata da una prosa feroce e appassionata, colta e barocca eppur versata alle più impensate contaminazioni fino a farsi stile inconfondibile. Qui Ulisse è un uomo che ha tentato così tante vite da non viverne davvero neppure una, la sua; eppure sa – lo aveva sempre saputo, e infatti aveva recitato la parte di se stesso solo per ispirare l’unica persona che potesse raccontarla – che un giorno la figlia lo renderà davvero un eroe, quale nella realtà mai era stato, nelle pagine di un romanzo destinato a restare, dove il riso più sfrenato suona dal profondo degli abissi della commozione. “Il sacco con le spoglie di mio padre lo caricherò sulle spalle e lo porterò via. Piccola e ostinata come una formica che trasporti la carcassa di un cervo volante. Lo custodirò con cura, mi accaparrerò i suoi resti e la sua memoria.” Così, quando si arriva all’ultima pagina non c’è che la voglia di ricominciare dalla prima, per rileggere o meglio riascoltare la storia dell’umanità narrata attraverso quella di un uomo che volle essere se stesso senza riuscirci, se non nella memoria fedelmente infedele della figlia.