di Fabrizio Pinna – Inaugurata a Palazzo Oddo una importante mostra di Giuliano Ottaviani, in questi giorni ad Albenga dove ha già esposto lo scorso anno. Arte, società, cultura tra passato presente e futuro, il pubblico, il mercato,  il suo rapporto con la Liguria… artista internazionale duttile ed eclettico, dal carattere brioso, disponibile ed estroverso, il Maestro Ottaviani ha rilasciato al Corsara una lunga intervista.

D.: Lei è, per così dire, un artista completo: utilizza una pluralità di tecniche apparentemente anche molto distanti, si è cimentato nella pittura, nella scultura così come nell’oreficeria… vede osmosi tra le diverse discipline artistiche, dei rapporti stretti?

R.: Nelle attività produttive quelle che funzionano sono quelle che si diversificano e che non seguono un solo settore: così anche nell’arte. L’arte, in senso lato, può essere molte cose, anche promozione turistica o stimolo all’artigianato; l’arte dev’essere principalmente innovazione e l’artista, ovviamente, un pioniere e deve avere questa molteplicità di mete, di forme espressive, e non avere problemi ad affrontare nessuna tecnica. Faccio di tutto nella mia vita: l’importante è comunicare. Quando c’è la poesia si possono toccare tutte le materie, quando lo spirito è evoluto le tecniche diventano facili e quindi sintetiche.

D.: C’è una tecnica e forma di espressione artistica che lei predilige sulle altre?

R.: Nell’arte l’espressione nasce al momento; si adatta al momento spirituale, al momento in cui arriva questa ispirazione. Io, per esempio, in questa mostra ho portato qualche piccolo quadro di Albenga proprio per dedicare, diciamo, la mia arte per valorizzare questa città che mi ispira molto.

Normalmente non sono un paesaggista, anche se tanti anni fa ho fatto anche questo; però per l’occasione ho fatto qualche figura ispirata ad Albenga, nelle quali ovviamente c’è la mia “marca”, c’è una mia piccola interpretazione: anche se esco un po’ dal mio stile solito, poi rientro con dei simboli che sono la marca di base di tutte le mie interpretazioni.

D.: L’artista oggi, nel mondo contemporaneo, trova maggiori difficoltà rispetto al passato a esprimersi e a raggiungere il pubblico?

R.: L’artista è un poeta che può esprimersi anche in un momento quotidiano o banale; in un momento in cui altri uomini e altre donne non provano nessuna emozione, lui riesce a creare la poesia dalla cosa più banale, perché la poesia è in tutto. È solo che forse noi siamo troppo superficiali, abituati ormai alla sintesi percettiva: ormai percepiamo le immagini in movimento con i suoni e le cose che sono fisse, che non hanno tutti questi stimoli contemporanei dei sensi non ci coinvolgono più.

L’Artista vero è quello che riesce, oltre a dare una chiave di lettura all’opera, a raccontare il suo punto di vista, che riesce a coinvolgere in questo mondo che normalmente oggi usa molti tipi di messaggi, auditivi, visivi, figurativi, di vive immagini in movimento.

Un artista deve riuscire a superare tutto questo attraverso semplicemente dei racconti statici: statici sotto l’aspetto tecnico ma in movimento sotto l’aspetto interpretativo. L’opera deve avere un grande movimento, la scultura deve avere una grande leggerezza, una sua poesia; la persona deve essere invitata a intendere il messaggio chiave e volare insieme all’interpretazione di un artista. L’artista riesce a rimanere nel cuore e nella mente degli uomini quando riesce, con una sua mostra, con un suo spettacolo, con una sua musica, a far perdere la dimensione del tempo e dello spazio. Se una persona, un visitatore, perde la dimensione del tempo e dello spazio, è come una droga: poi sente il bisogno di ritornare a provare quella sensazione.

L’arte ha oggi ancora un valore; per esempio in una terra come questa, culturale e turistica, l’arte è il futuro. L’artista deve essere anche un pioniere e aiuta gli esseri umani a non dimenticare il passato, ma attraverso il passato a proseguire verso nuove interpretazioni. Con rispetto assoluto per le identità culturali del passato, deve riuscire a dare qualcosa in più, a stimolare e indicare una prosecuzione delle identità culturali di questo passato che è sempre prezioso. Non c’è mai un futuro se non c’è un passato, ma con il passato bisogna tentare di costruire un futuro; diversamente diventa superfluo se non riusciamo a continuarlo, ad alimentarlo con nuove sensazioni, con nuove immagini e con nuove interpretazioni.

D.: Identità culturali… Lei è umbro, oggi risiede in Lombardia – a Treviglio nel bergamasco – ma, oltre ai suoi periodi di permanenza all’estero, soprattutto in Brasile, qui in Italia ormai ha stabilito da anni un rapporto di costante presenza in Liguria e in particolare proprio nel savonese dove ha più volte esposto, oltre Albenga, Loano, Spotorno, Noli, Savona, Celle, Varazze… Come è nato questo rapporto così stretto?

R.: Capitò tanti anni fa; io ero a Chianciano per una grande mostra e passò l’allora provveditore agli studi di Savona – poi diventato un grande amico e oggi morto – e mi chiese se fossi mai stato in Liguria. A quel tempo ci passavo solo per andare in Francia ma idealmente non avevo mai fatto delle opere, delle manifestazioni culturali in Liguria dove ero presente solo per vie indirette, quindi attraverso mercanti d’arte o divulgatori ecc.. Allora mi disse: “Lei deve venire”. Accettai l’invito; ormai sono passati credo 15 o forse 20 anni e non riesco più a distaccarmene. Sono stato nella costiera amalfitana otto anni, poi a Taormina, poi in Sardegna e nel Nord Est d’Italia e adesso in Liguria alla quale veramente mi sono appassionato. Io sono Umbro ma devo dire che mi trovo molto bene perché non c’è questa grande distanza culturale. Noi tutti abbiamo in qualche modo origini rurali e l’Umbria è naturalmente una terra di spiritualità e di verde ma anche di prodotti dell’agricoltura legati alla natura, alla montagna; qui in più c’è anche il mare. Sono terre “parallele”.

D.: All’estero, in Brasile, ha avviato un progetto di “recupero” delle periferie urbane che ha anche risvolti sociali; come vede – e vive – il rapporto tra l’arte, l’essere artista e l’impegno sociale?

R.: Il rapporto arte e sociale è basico perché la gente, soprattutto quella che non ha molte possibilità, soprattutto i ceti poveri delle periferie in Brasile, certamente hanno il bisogno di mangiare ma anche quello di sentirsi valorizzati, di sentirsi coinvolti, di sentire che anche loro valgono qualcosa. Quindi quando io ho fatto questi progetti li ho coinvolti facendogli esprimere la loro identità culturale per rivestire le periferie, per nascondere le brutture e trasformarle in cose luminose coi loro segni.

Sono stato accolto come stimolatore culturale, non come colonizzatore culturale. È molto importante mostrare che uno rispetta i loro segni, la loro cultura, perché ci tengono molto e ha molteplici origini nelle diverse zone del paese: indigene, europee – anche italiane – africane… Nel Nord-Est, Salvador, ho per esempio di recente anche prodotto un documentario insieme ad una mia assistente/manager brasiliana e abbiamo fatto una grande ricerca di quella che era la cultura afro-brasiliana.

Ma l’arte è importante anche per noi in Italia che abbiamo questa crisi: è un riscoprire un pochino che la creatività è basica, cioè che tutto quello noi abbiamo ricevuto in eredità è nato dalla fantasia, dalla bravura, dalla creatività degli uomini. La ruralità e la laboriosità della gente che doveva macinare la pietra per fare la terra, se vogliamo, e creare per esempio qui in Liguria tutti questi terrazzi parte sempre da un prodotto di fantasia. E l’arte è comunque importante non solo per l’artista – che produce un proprio stile, un proprio modo di essere ecc. – ma anche per stimolare questa società che ormai è piuttosto passiva, oppressa dai problemi della sopravvivenza. In una crisi come questa, per uno che lavora nell’industria e non conosce la terra e non sa come sopravvivere, il giorno che perde il lavoro è chiaro che va ad alimentare la criminalità, va ad alimentare la prostituzione e tutto questo. L’arte è il momento più importante per poter creare e trovare soluzioni, per trovare il contatto con la natura e quindi ricreare la possibilità non solo di trasmettere un messaggio culturale nel tempo ma di creare un momento di sopravvivenza e di nuovo sistema per poter continuare la storia.

D.: Tradizione e futuro: in occasione di questa mostra lei ha adottato il QR Code, un nuovo sistema di comunicazione per cellulari realizzato dall’azienda mediapartner Mediagold di Tommaso Marinelli che ha sede qui ad Albenga; quale è il suo rapporto – come artista – con le nuove tecnologie, per esempio la telefonia mobile o internet, la rivoluzione informatica di questi ultimi anni…?

R.: In quanto alle nuove tecnologie non sono molto preparato… non so nemmeno usare il computer; ma devo dire grazie a Mariagrazia Noseda – che è la mia addetta stampa e cura questi aspetti – e grazie a Tommy [Marinelli] e al suo gruppo di Mediagold che ha creato questo sistema che io ho ritenuto estremamente interessante, soprattutto per coinvolgere i giovani.

Artisticamente sono molto sensibile alle nuove tecnologie ma in un senso più generale, tanto che sto creando delle sculture a energia solare; non sono solo l’artista che appaio qui – rappresentato in questa mostra – ma ho toccato vari settori, dalla ceramica, al marmo, al bronzo e mi occupo del recupero delle periferie ecc. impiegando anche quelle tecnologie che permettono di raggiungere quel pubblico di giovani spesso un po’ “sperduto” e che purtroppo spesso ha bisogno di droghe probabilmente per riuscire a sorridere, per riuscire a danzare. Io nella mia vita ho sempre vissuto da quello che sgorgava dal profondo del cuore tanto che quando andavo in pista in certe discoteche mi dicevano “che prendi?”… la mia creatività, la mia allegria, la mia forza, rispondevo…

D.: Su cosa sta lavorando in questo periodo? Quali sono i progetti artistici che ha in cantiere per il futuro?

R.: Tra i poggetti maggiori, prima di tutto adesso stiamo preparando grandi manifestazioni in mezzo Brasile e a San Paolo. In Brasile ho recentemente fatto il trofeo del carnevale di Salvador de Bahia, per loro una cosa sacra; infatti mi si sono scagliati contro tutti gli artisti perché in vent’anni nessuno lo ha mai fatto. Poi sono arrivato io e me lo hanno commissionato: una statuina realistica, il Troféu Castro Alves. Ora sto rappresentando artisti brasiliani; li preparo, faccio corsi di formazione e poi porto quelli selezionati come migliori nelle fiere internazionali, anche con i miei collaboratori come Benita Lopez che è la mia manager. In futuro abbiamo una mostra in Russia, in un museo di Mosca e, qui in Italia, nel Senato a Roma e molti altri eventi; anche in Liguria, per esempio una mostra a Varazze.

Poi ci sono altre varie programmazioni in corso: ritornerò di nuovo in Cina, a Shangai dove ho uno studio e una mostra permanente; la Cina è sicuramente importante. Io per cultura e per lingua, in quanto riesco ad esprimermi in portoghese, preferisco il Brasile; è più facile per noi, è più vicino anche come cultura. Ma la Cina in questo momento si sta riprendendo alla grande e quindi è un momento buono per gli operatori culturali, per gli artisti, andare verso questi mercati che sono sensibili e adesso ancora “affamati” di arte e di cose nuove. Anche perché rientra nella loro cultura fare regali artistici, piccole sculture, a prezzi magari differenti da un tempo, e comunque oggi entrano anche le nuove produzioni internazionali.

D.: E in Brasile?

R.: In Brasile anche San Paolo sta vivendo un momento artistico eccellente. Il mercato già funziona molto bene; il Nord-Est è invece in un momento un pochino più fiacco ma credo che sarà un grande mercato fra tre o quattro anni. Ma bisogna muoversi. Io ho scelto l’internazionale da anni, quando altri me lo sconsigliavano, e oggi vado abbastanza bene internazionalmente: le mie opere stanno avendo delle quotazioni molto “pesanti” proprio perché ho scelto l’internazionale. Se uno è conosciuto nella zona, nel paese, è facile diventare “il più bello il più buono e il più bravo”, ma andare in giro per il mondo tutti i giorni è un confronto e una sfida continua proprio perché sei straniero e non sei favorito come i locali. È una grande palestra per crescere. Per crescere bisogna avere il coraggio di mettersi in discussione tutti i giorni e ricominciare da zero, probabilmente qualche volta anche in un terreno non favorevole. Ma in questi casi se vinci, hai vinto davvero.