di Alfredo Sgarlato – Questa estate piovosa, come aveva rischiato di compromettere il Percfest di Laigueglia, poteva danneggiare anche il festival jazz di Alassio. Per questo motivo ho potuto partecipare solo a due serate, perdendo la prima, in cui Shawn Monteiro, cantante figlia del grande contrabbassista Jimmy Woode, rendeva tributo a Carmen Mc Rea, e l’ultima, ancora con una cantante, Lara Jacovini, accompagnata da ottimi musicisti come Andrea Dulbecco, vibrafono, e Riccardo Fioravanti, contrabbasso, in un omaggio a Gershwin e Stevie Wonder. Fortunatamente non ho perso le due serate centrali.

Martedì 7 ha suonato Orrin Evans, pianista cresciuto alla scuola del grandissimi Kenny Barron, che avevo già ammirato ad Alassio lo scorso anno col quartetto di Bobby Watson. Qui era accompagnato dall’ottimo trombonista Frank Lacy, già collaboratore di Art Blakey, Carla, Bley e molti altri, Mark Helias al contrabbasso (uno strumento di colore bianco, una rarità) e Donald Edwards alla batteria. Un concerto dove si sono alternate atmosfere più free e temi swinganti, momenti intimisti ed altri molto ritmati. Una sola composizione era di Evans, tra gli altri ben tre brani del suo amico Watson, uno di Charles Mingus ed uno dal repertorio di Art Blakey. Evans è un pianista molto elegante, che alterna fraseggi spezzati di accordi con frasi lunghe e ariose e con brevi e veloci scale pentatoniche. L’influenza del maestro Kenny Barron si sente molto, ma è inevitabile poichè Barron è uno dei massimi esempi di arte pianistica. Frank Ku-Umba Lacy è un gran personaggio. Vestito in stile africaneggiante, sembra nascondersi ai lati del palco, per lanciarsi poi al microfono per i suoi fluenti assoli al trombone e al flicorno. Ambedue si cimentano anche nel canto: più rauca e fumosa la voce di Lacy, più profonda quella di Orrin, gli amanti del bel canto potrebbero essere perplessi ma in un contesto jazz funzionano.

Totalmente diversa la serata di mercoledì, col bluesman Rudy Rotta, alla quarta presenza ad Alassio, che presenta il nuovo disco Blue Inside. Con lui Elizabeth Lee, affascinante cantante da Austin Texas dalla voce che ricorda Janis Joplin, Pierluigi Mingotti – basso, Ivano Zanotti – batteria, PeeWee Paolo Durante – tastiere, le coriste dell’Hillbilly Soul gruppo vocale formato da Simonetta Basile, Stefania Targa, Marie Claire Dubost. Più che in un vero e proprio blues siamo in territori di rock americano. La band è affiatata e Rotta, Durante e Mingotti (come tecnica il migliore in campo) si alternano in lunghi e pregevoli assoli, la ritmica è potente. Brani tutti originali, tranne il bis, l’immortale Crossroads di Robert Johnson. Bel concerto, ma se devo essere sincero Rotta mi era piaciuto molto di più l’anno scorso, quando aveva presentato un repertorio molto più nero e soul.

In ogni caso una manifestazione che cresce, il pubblico comincia ad essere più selezionato e meno casuale, non scappano tutti all’annuncio dell’ultimo brano ma chiedono i bis, peccato che i concerti siano un po’ brevi.