di Alfredo Sgarlato – Anni fa imperava il luogo comune per cui in Italia non si possono ambientare gialli o fantascienza. Poi, da una quindicina d’anni a questa parte, dopo il successo di autori spagnoli (Manuel Vasquez Montalban su tutti), svedesi, francesi e così via, c’è stato un ribaltamento totale nei confronti della letteratura di genere. Ma come nasceva l’ostracismo? Perchè si parla di “giallo”, “noir” e mille altre definizioni?

L’origine dei termini è casuale: negli anni ’30, col diffondersi dei tascabili, Mondadori, scelse il giallo per le copertine, Gallimard il nero, creando questi nuovi sinonimi per quello che genericamente si definiva romanzo poliziesco. L’ostracismo nei confronti del giallo italiano ha origini politiche: il regime fascista proibì questo genere letterario considerandolo disfattista (“da noi queste cose non succedono”). E pensare che da noi il poliziesco aveva già una nobile tradizione: Il mio cadavere, di Francesco Mastriani data 1852, Il cappello del Prete di Emilio de Marchi 1887 (come Uno studio in rosso di Sir Arthur Conan Doyle).

L’invenzione del giallo è universalmente attribuita ad Edgar Allan Poe, presto imitato dagli inglesi Conan Doyle, che crea il personaggio di Sherlock Holmes, e Wilkie Collins (La pietra di luna, L’albergo stregato). Generalmente per giallo si intende il romanzo basato sulla scoperta dell’autore di un delitto, da parte di un investigatore, che non è necessariamente un poliziotto: vedi la Miss Marple di Agatha Christie. Il giallo classico toccò le sue vette nella prima parte de ‘900 con autori come Ellery Queen o S.S. Van Dine (La canarina assassinata), oltre a quelli già citati, poi dopo la guerra mondiale e la guerra fredda prevalse il genere noir, quello in cui la storia può essere raccontata anche dal punto di vista del criminale, il caso, può non essere risolto, e in generale la trama serve da spunto per una narrazione d’ambiente, spesso dominata da violenza e cinismo. In questo campo appaiono scrittori che la critica, dopo averli a lungo snobbati per motivi ideologici, basandosi sui contenuti e non sulla forma o sullo spessore psicologico, oggi riconosce come grandi in assoluto, Simenon su tutti, poi Chandler, Hammett, Woolrich, Thompson, Ellroy, Izzo.

Anche in Italia erano apparsi in passato bravi giallisti come Augusto De Angelis, Renato Olivieri e soprattutto Giorgio Scerbanenco, che prediligevano le ambientazioni milanesi. Ma ci vogliono gli anni ’90 perchè anche gli italiani riprendano a cimentarsi coi generi, grazie a Camilleri, Carlotto e molti altri. Perchè hanno così successo? Verrebbe da dare la risposta più semplice: perchè sono libri validi. Ma forse il motivo sta nella maggiore capacità dei giallisti nel costruire una trama o nel creare un linguaggio né aulico né volgare, capacità che in molti scrittori non di genere sembrano perse. Senza dimenticare il legame coi luoghi: la Sicilia di Montalbano, la Genova di Morchio, fino ai nostri compaesani come Rava, Bracali, Lanteri. Però dopo un secolo di ostracismo adesso sembra che oggi non si debba leggere o scrivere altro…

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato