di Alfredo Sgarlato – Esce in questi giorni, in cui ricorre l’anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, un libro di Marco Belpoliti, uno degli scrittori più interessanti del momento, intitolato Pasolini in salsa piccante (ricordiamo en passant anche il penultimo libro dello scrittore, Senza vergogna, impietosa analisi della situazione italiana). Nel titolo si cita il film di Pasolini Uccellacci e uccellini in cui il Corvo (che è in realtà un intellettuale impegnato) dice che i maestri vanno mangiati in salsa piccante, e così faranno Totò e Ninetto con lui. L’intenzione di Belpoliti è di far capire che Pasolini vada storicizzato, senza trasformarlo in monumento (come sta accadendo a De Andrè e, in misura minore, a Gaber).

Purtroppo questo sta succedendo e Pasolini è sempre più venerato da chi negli anni ’70 lo disprezzava, a sinistra e soprattutto a destra: il Secolo d’Italia, i cui lettori in passato aspettavano PPP fuori dai cinema per prenderlo a pietrate gli ha dedicato un numero speciale (sul tema delle riscoperte da destra si può leggere il libro di Luciano Lanna e Filippo Rossi fascisti immaginari) Pasolini, dice Belpoliti, era contraddittorio e ben conscio di esserlo; era profetico anche quando sbagliava: aveva ragione anche quando aveva torto, e viceversa, poiché il suo pensiero era di una complessità rara. Non si può capire PPP, dice Belpoliti, senza riferirsi alla sessualità ma, aggiungo io, neanche senza quello che definiva “il suo cattolicesimo arcaico” e probabilmente il legame tra le due cose, soprattutto per quanto riguarda certi aspetti “antimoderni” di Pasolini, vedi la condanna della libertà sessuale dell’aborto, è indissolubile.

Era uno dei pochi pensatori e artisti italiani non etichettabili, non conformisti (termine che oggi viene spesso usato, a sproposito, per qualche nostalgico risciacquato), oltre a lui ed hai nomi già fatti mi vengono in mente Fellini, Flaiano, Bene. Pasolini fu l’ultimo degli artisti rinascimentali, in grado di cimentarsi in più campi con risultati sempre originali e potenti; visse scandalosamente, tentando di esprimere compiutamente la sua “disperata vitalità” ( e in ciò era terribilmente attuale) e scandalosamente morì, una morte che presenta ancora aspetti irrisolti.

Belpoliti non crede alle versioni complottiste e probabilmente ha ragione; ma mi è difficile non pensare che il suo omicidio sia stato solo un atto di teppismo e non abbia avuto implicazioni politiche: Pasolini era molto noto e chi l’ha ucciso sicuramente sapeva chi era. Scrivendo di Flaiano concludevo chiedendomi cosa penserebbe lo sceneggiatore de La dolce vita dei tempi d’oggi. Belpoliti invita a non farlo, né con Pasolini, né con gli altri grandi del passato: dobbiamo leggerli e capirli, certo, ma chiederci chi sono i maestri di oggi e cosa pensano. Belpoliti ovviamente si schermisce ma interrogato su chi leggere oggi uno dei pochi nomi che mi sentirei di fare è il suo.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato