In occasione della IX edizione della Giornata Internazionale, a Genova come nelle altre città coinvolte, molte le iniziative culturali e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, sostenute e organizzate in sinergia con la Comunità di Sant’Egidio e associazioni ad essa collegate, in Italia e in altri Paesi.

A Genova l’appuntamento è il 30 novembre alle 17,30 nella sala dell’Archivio Storico, a Palazzo Ducale (Piazza Matteotti), per un incontro con Robert William Pelke, testimone della lotta contro la pena di morte negli Usa, Maria Rosa Biggi in rappresentanza della Sindaco di Genova, Milò Bertolotto, Assessore alla Pace della Provincia di Genova, Luca Borzani, presidente della Fondazine per la Cultura, e Simona Merlo, della Comunità di Sant’Egidio.

Bill Pelke sarà anche il 1° dicembre al carcere femminile di Pontedecimo per un incontro con i detenuti e le detenute ed infine giovedì 2 dicembre ad Alessandria alle ore 10 per un incontro nelle scuole (aula magna Leonardo da Vinci e alle 21 a Sestri Levante per un incontro a palazzo Fascie Rossi.

L’approvazione, in quattro anni, di tre Risoluzioni per una Moratoria Universale della pena capitale all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, confermano una tendenza del mondo verso una nuova soglia, più alta, di rispetto dei diritti umani. L’ultima votazione, l’11 novembre scorso, ha visto due stati in più dichiarare formalmente la loro adesione alla battaglia contro la pena di morte, portando a 107 il numero dei paesi che hanno approvato il testo ONU, che ne auspica l’abolizione definitiva in tutto il mondo.

La pena capitale è un residuo del passato, come a lungo lo sono stati la schiavitù e la tortura, poi rifiutati dalla coscienza universale. Tuttavia, la strada verso la sua eliminazione resta lunga e difficile e necessita di un’azione decisa e a lungo termine, in vista della implementazione della Risoluzione e della sua totale scomparsa quale misura punitiva.

La Giornata Internazionale delle “Città per la Vita, Città contro la Pena di morte “- che si celebra ogni 30 Novembre, in ricordo dell’anniversario della prima abolizione della pena capitale ad opera di uno stato europeo, il Granducato di Toscana, avvenuta nell’anno 1786 – rappresenta una straordinaria iniziativa che nel corso degli anni ha riunito numerose amministrazioni locali e società civili, per offrire e promuovere universalmente questa battaglia tanto decisiva per l’umanità intera.

L’edizione di quest’anno, 2010, ha avuto l’adesione di oltre 1.300 città, ( 500 in Italia) di cui 61 capitali, in 83 paesi di ogni continente. Rappresenta la più grande mobilitazione internazionale finora realizzata per fermare nel mondo tutte le esecuzioni capitali. Saranno presenti in Italia, in questi giorni, importanti testimoni, ex condannati a morte e parenti delle vittime di questa battaglia.

BILL PELKE La nonna di Bill fu uccisa nel 1985 da Paula Cooper, la quale fu poi condannata a morte. Lui, inizialmente sostenitore della pena capitale, dopo avere conosciuto Paula, con il tempo cambiò il suo desiderio di vendetta e la perdonò pubblicamente. In più, con il suo impegno legale, riuscì a farle ridurre la condanna capitale a 60 anni di detenzione ordinaria. E’ uno dei leader della associazione Journey of Hope, che si adopera per la riconciliazione tra i parenti di vittime e i condannati a morte.

RON CARLSON Ron Carlson è il fratello di Deborah, uccisa da Karla Tucker, la cui esecuzione in Texas, dopo un completo percorso di redenzione, impressionò e commosse il mondo intero. Ron, dopo averla perdonata, strinse una profonda amicizia con lei e le restò vicino sino alla fine. Da allora è costantemente impegnato in tutto il mondo nella battaglia per l’abolizione della pena di morte.

DERRICK JAMISON, già condannato alla pena capitale, è stato liberato nel 2005, dopo 20 anni trascorsi nel braccio della morte dell’Ohio. È il 116° prigioniero che negli Stati Uniti è stato riconosciuto innocente dopo aver lungamente vissuto, come gli altri, nell’attesa angosciosa dell’esecuzione.

MARIETTA JAEGER LANE, americana del Montana, perse la sua piccola bambina Susie oltre 25 anni fa in seguito ad un omicidio. E’ autrice di un coraggioso e ammirevole cammino personale che l’ha condotta a dimettere ogni sentimento di vendetta e a diventare una fra le più autorevoli testimoni del movimento abolizionista degli Stati Uniti.

JOAQUIN JOSE’ MARTINEZ È stato il primo ispanico ad uscire dal braccio della morte negli Stati Uniti, il 96° condannato a morte riconosciuto innocente e liberato dopo 5 anni e 5 mesi di detenzione. Lui, che era favorevole alla pena capitale, vivendo questa vicenda, e a partire dell’amicizia fatta con altri detenuti, è adesso fermamente convinto della sua crudeltà ed è impegnato nel sostegno di altri condannati a morte.

BILLY MOORE Billy ha trascorso 17 anni nel braccio della morte in Georgia (USA), accusato ingiustamente di un omicidio premeditato, che in realtà era preterintenzionale. La sua esecuzione, nel 1984, fu bloccata a tre soli giorni dalla data prevista, anche grazie all’intervento diretto di Madre Teresa di Calcutta. Con il tempo fu rilasciato grazie anche alla sua buona condotta. Il suo rappresenta un caso molto raro di rilascio di un condannato a morte reo-confesso.

BUD WELCH Bud è diventato uno strenuo oppositore della pena di morte – da deciso sostenitore qual era – all’indomani della perdita di sua figlia Julie Marie, che a 23 anni fu una delle numerose vittime del noto attentato di Oklahoma City. Diventò uno dei pochi amici più stretti dell’attentatore, Timothy Mc Veigh, messo a morte nel 2001. E’ uno degli esempi più fulgidi di quanto il perdono e la riconciliazione dimostrino l’inutilità dell’utilizzo della pena capitale ai fini della deterrenza.

CURTIS Mc CARTHY Curtis è stato il 124° condannato a morte ad essere liberato negli Stati Uniti dopo essere stato riconosciuto innocente. Aveva passato in carcere 22 anni, di cui 19 nel braccio della morte in Oklahoma, per un crimine mai commesso. Contro di lui la giustizia locale si comportò in maniera particolarmente persecutoria, malgrado la mancanza di prove schiaccianti, e grazie all’intervento dell’associazione Innocence Project, riuscì ad ottenere il test del Dna, che dimostrò inconfutabilmente la sua estraneità ai fatti.