di Alfredo Sgarlato – Si può essere considerati maestri del cinema pur con pochissime opere alle spalle? Si può, anzi, può essere persino un aiuto: tra gli oltre 60 film di Chabrol o i 40 di Woody Allen che ce ne sia qualcuno brutto è inevitabile. Ma se sono pochi… L’esempio più emblematico è Jean Vigo. Dopo un paio di cortometraggi Vigo gira negli anni ’30 Zero in condotta, storia autobiografica di una rivolta in un collegio (nel 1932! infatti fu distribuito solo una trentina di anni dopo…) e L’Atalante (1934), bizzarra storia d’amore tutta ambientata su una chiatta. Il fortissimo anticonformismo e l’originalità delle immagini, fortemente influenzate dal surrealismo, fecero del giovane Vigo un maestro. Alcune scene da L’Atalante, come il bacio sott’acqua o i gatti che giocano sul grammofono sono state riprese in migliaia di film. Ma Jean volle girare il film dal vero e non in studio (anche questa una novità assoluta) e, di salute cagionevole, anche per le continue umiliazioni subite in collegio (dovute alla militanza anarchica del padre), si ammalò di polmonite e morì a soli 29 anni.

Negli anni ’70 era di culto il regista Alejandro Jodorowsky. Cileno, laureato in psicologia, esule in giro per il mondo, gira tre film Il paese Incantantato, El Topo (una parodia estremizzata dei western all’italiana), e La Montagna Sacra, che spopolano nei cineforum. Soprattutto il terzo, prodotto da John Lennon, incredibile miscuglio di ricostruzione storica, esoterismo e sberleffo surrealista. All’epoca era un pugno nello stomaco, rivisto oggi può apparire gratuito, persino irritante per la violenza, il barocchismo e il simbolismo debordante. Forse datato, è comunque un esperienza che il cinefilo deve provare. Dopo questi film De Laurentis propone a Jodorowsky una versione del classico della fantascienza Dune. Il progetto fallisce e il film sarà poi girato da David Lynch, ma i modellini e le scenografie, realizzati da Jodorowsky col fumettista Moebius e col re degli effetti speciali Dan O’ Bannon, saranno fonte di ispirazione per moltissimi film a seguire. Dopo un lungo silenzio il regista gira nell’89 Santa Sangre, bizzarro horror felliniano, che molti considerano il suo film migliore, mentre il Ladro dell’arcobaleno (’91) delude i fans, quindi Jodorowosky si dedica alla scrittura e ad alla psicoterapia (o psicomagia, come la chiama lui).

Prototipo del genio avaro è Terrence Malick. Texano, con due splendidi film, La rabbia giovane (Badlands),1974 e I giorni del Cielo (Days of Heaven), 1979, due storie di coppie assassine in fuga, raccontate però col tono di una favola e con un uso del paesaggio mai uguagliato, seduce pubblico e critica per poi scomparire nel vero senso della parola: non ha mai dato interviste e non esistono quasi sue foto. Dopo quasi vent’anni di silenzio Malick riappare nel ’98 con La sottile linea rossa, un capolavoro assoluto, una profonda riflessione sulla condizione umana sullo sfondo della guerra del pacifico. Ancora sette anni di assenza (ma nel 2004 Malick produce lo splendido Undertow di D.G. Green, regista poi perso per strada) poi ecco The New World, sua interpretazione della storia di Pocahontas, un film sbagliato, splendido sul piano formale ma lento, con protagonisti non all’altezza e appesantito da una musica orrenda. Quest’anno dovrebbe (con Terrence si deve sempre usare il condizionale) uscire The Tree of Life, interpretato, si dice, da Sean Penn e Brad Pitt. Si dice: Malick usa attori strafamosi per piccole parti e gira fino a venti ore di film per poi tagliarle a due e anche per chi ha lavorato nel film è impossibile sapere come sarà il film finito e di cosa parli. Ma la vera notizia è che Malick avrebbe già quasi finito un altro film!

Simile a quello di Malick è il caso dello spagnolo Victor Erice, autore di due soli film a soggetto, Lo Spirito dell’alveare (El Espiritu della Colmena) 1973, e El Sur, 1983 due storie piene di mistero con bambini protagonisti, ambientate in epoca franchista, dallo stile apparentemente semplice ma raffinatissimo, coperte di premi in Spagna ma in Italia visti solo a “Fuori Orario”.

Aver diretto pochi film è una costante per i registi dell’Unione Sovietica, per colpa della censura imperante. Fu così per giganti come Andrej Tarkovskij e Otar Iosseliani, (il quale Iosseliani però dichiarava: faccio il regista perchè è l’unico modo di vivere lavorando un mese ogni 4/5 anni..) che meriterebbero libri interi, o altri come Klimov, German, Larisa Skepitko, Kira Muratova ( quest’ultima da me non amata) di grande talento però difficili per il pubblico occidentale. Mi sembra imprescindibile invece conoscere Sergej Paradzanov, che negli anni ’60 diresse due interessanti film L’ombra degli avi dimenticati e Il colore della melograna, per poi essere arrestato con una serie di accuse -false!- tra cui furto di opere d’arte, contrabbando e prostituzione omosessuale. Liberato in era gorbacioviana dirige altri due film La leggenda della fortezza di Suram e Asik Kerib . I suoi film sono favole coloratissime in cui si mostra bene come in una regione di confine, il Caucaso, si mescolino molte tradizioni di popoli diversi.

Su un piano più leggero sono imperdibili The wicker man (1973), unico successo di Robin Hardy, thriller con venature mistiche ed esoteriche di culto in America e Inghilterra (anche per la colonna sonora), ma da noi visto solo nei canali satellitari e di recente oggetto di un orrendo remake o I killer della luna di miele (1969), thriller su una coppia di serial killer iniziato da Scorsese ma poi diretto da un musicista, Leonard Kastle, opera prima e unica. Potrei continuare con i tre divertenti horror diretti da Michael Reeves, poi morto misteriosamente… Ma vi ho già dato fin troppi titoli, buona caccia!

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato