Questa mattina alla seduta solenne dedicata al Giorno della memoria sono intervenuti il presidente del Consiglio regionale Rosario Monteleone, lo storico e direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea Michele Sarfatti e Ennio Odino, partigiano di origine genovese, sopravvissuto alla strage della Benedicta e fra i pochi superstiti alla deportazione nel lager di Mauthausen.

Il presidente del Consiglio regionale Rosario Monteleone ha esordito ricordando come la memoria di quanto avvenuto nei lager nazisti abbia faticato a diventare coscienza collettiva: «L’orrore della deportazione, la tragedia della Shoah hanno potuto trovare solo molto tempo dopo le condizioni necessarie per essere “raccolti” dalla coscienza degli uomini – ha detto – E i sopravvissuti patirono anche l’ostracismo del silenzio. Nel corso del tempo la memoria si è fatta pietra, nei tanti monumenti alle vittime della deportazione eretti sulle nostre piazze, senza diventare però pietra miliare della nostra società, fragile, benché avanzata». I valori positivi scaturiti dalla tragedia dell’Olocausto, secondo il presidente, hanno gettato le basi della futura Europa, «nata poi con la firma dei trattati di Roma» e, rivolgendosi agli studenti vincitori della quarta edizione del concorso dedicato al “Giorno della memoria” organizzato dal Consiglio regionale, ha ammonito: «La memoria è il filo conduttore che lega le generazioni tracciando un percorso nella coscienza collettiva che insegni il ripudio della indifferenza, del totalitarismo, di ogni forma di razzismo e sopraffazione. Quanto cammino resti ancora da percorrere all’Europa e al mondo sulla via della pace e della giustizia sia il metro del nostro impegno quotidiano. Voi siete divenuti eredi della Memoria, custodi di una testimonianza, tanto più preziosa quanto più rara, la testimonianza di un uomo che non potrà mai dimenticare di essere stato il numero il 63783 di Mauthausen – Gusen». Con queste parole il presidente ha introdotto la figura di Ennio Odino, sopravissuto al lager di Mauthausen.

Michele Sarfatti, storico e direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea ha ricordato: «Ad Auschwitz furono uccisi più di un milione di ebrei: è il più grande cimitero ebraico esistente e contemporaneamente il più grande cimitero d’Europa. Gli ebrei che arrivarono in questo lager provenivano da ogni parte del Vecchio Continente: l’Europa era unita nelle camere a gas». Lo storico ha fatto un excursus sulla nascita ed evoluzione della Shoah: dalle liste degli autori proibiti e dei libri messi all’indice, che in Italia (contrariamente a quanto accadde in Germania) non ebbe mai un vero e proprio rogo documentato fino allo sterminio pianificato. «Ma l’ebraicidio – ha detto Sarfatti – non fu attuato solo ad Auschwitz. Il termine ebraico Shoah significa catastrofe e si può applicare anche ai cataclismi naturali, ma oggi “Shoah” designa un’intera vicenda storica per antonomasia: lo sterminio sistematico degli Ebrei e la negazione dei diritti civili e sociali che la precedette.»

«Molti studiosi – ha spiegato Sarfatti – parlano di unicità della Shoah: non era mai accaduto nel Continente che tutti gli ebrei di Rodi fossero deportati in un luogo di eliminazione, perché niente del genere era mai stato concepito dall’uomo, niente regge il confronto. La Shoah fu un fenomeno unico». Lo sterminio nazista, secondo lo storico, richiese infatti un insieme di capacità manageriali, ideologia, organizzazione, indifferenza, logistica che non hanno mai avuto precedenti nella storia, tanto che «quando nel ‘39 cominciò la seconda guerra mondiale l’antisemitismo era divenuto una caratteristica dell’Europa». Un antisemitismo alimentato dalla «colossale panzana – ma anche colossale novità – del concetto di razza ebraica. L’insieme dei divieti e la persecuzione dei diritti civili dei cittadini ebrei fu la premessa tecnica della persecuzione. Dietro ogni ebreo salvato in Italia vi fu almeno un italiano che lo aiutò e dietro ogni ebreo arrestato vi fu almeno un italiano che lo arrestò e uno che chiuse gli occhi».

Ennio Odino, partigiano di origine genovese, sopravvissuto alla strage della Benedicta e fra i pochi superstiti alla deportazione nel lager di Mauthausen, ha raccontato con commozione la terribile esperienza nel campo di concentramento: la paura, la fame, il freddo, la ferocia e la violenza gratuita dei carcerieri, i piccoli gesti di ribellione e di riscatto contro uno sterminio pianificato. «Certe categorie di prigionieri – i russi per primi – venivano custoditi con estrema crudeltà, in baracche senza finestre, e ricevevano cibo ogni tre giorni; alcuni vennero sottoposti alla doccia ghiacciata, all’aperto, d’inverno: si formava un blocco di ghiaccio intorno al corpo della vittima ed il suo cuore resisteva non più di mezzora. Avevamo sempre fame. Un giorno ci portarono fuori dal campo per farci montare una casa di legno prefabbricata. Di guardia c’erano un kapò e una SS con il suo cane, che aveva ricevuto la sua ciotola con cibo ricco di carne, tanto abbondante che ne aveva lasciato una parte; evidentemente non aveva fame come noi! Non appena la SS si allontanò con il cane, alcuni di noi si gettarono sulla scodella e cominciarono a divorare il cibo rimasto». Odino ha ricordato anche la solidarietà coraggiosa dei pochi civili con cui lavorò in un capannone industriale e l’amara consapevolezza, dopo il ritorno in Italia, di non poter condividere con gli altri le sofferenze subite: «Ritornati a casa, non eravamo compresi, non eravamo ascoltati e fummo relegati al silenzio per anni» e ha concluso il suo intervento lanciando un appello alla platea commossa: «Oggi, ancora ci svegliamo alla notte ripensando ai compagni, che non sopravvissero alle terribili crudeltà e soprattutto, a ciò che avevamo giurato di fare, che purtroppo non si è ancora pienamente realizzato. Ci sono state ancora tante guerre e uccisioni di massa per motivi di razza o religione o nazionalismo esasperato. La giustizia, la libertà e la pace non sono state ancora raggiunte da tanti uomini».

Al termine degli interventi sono stati premiati gli studenti liguri di scuola media superiore che hanno vinto la quarta edizione del concorso indetto dal Consiglio regionale: “27 gennaio: Giorno per la Memoria” dedicato alla persecuzione razziale e politica durante il nazifascismo. Il concorso è finanziato attraverso la legge 9 del 16 aprile 2004 del Consiglio regionale.

I giovani vincitori del concorso

  • Silvia Sessini del Liceo Scientifico Socio pedagogico Pertini di Genova
  • Federica Meneghello del Liceo Scientifico Socio pedagogico Santa Maria ad Nives di Genova
  • Luciano Lavezzari del Liceo Scientifico Socio pedagogico Santa Maria Ad Nives di Genova
  • Carolina Costa del Liceo Scientifico Nicoloso da Recco
  • Chiara Piotto del Liceo Scientifico Antonio Pacinotti della Spezia
  • Lorenzo Mantovani dell’Istituto Primo Levi di Ronco Scrivia
  • Virginia Colombo del Liceo Scientifico Giordano Bruno di Albenga
  • Giovanni Pampararo del Liceo del Liceo Scientifico Arturo Issel di Finale
  • Matteo Perello del Liceo Scientifico Arturo Issel di Finale Ligure
  • classe V A anno scolastico 2009-2010 del Liceo A. Martini di Savona
  • Michela Bruschini, Maria Pastorino, Gaya Russo del Liceo Artistico Paul Klee – Nicolò Barabino di Genova
  • Classe IV H anno scolastico 2009-2010 del Liceo Artistico Paul Klee-Nicolò Barabino di Genova
  • Classe II A anno scolastico 2009- 2010 del Liceo Linguistico Grazia Deledda di Genova
  • Brando Curarini (14) del Liceo A Pacinoti della Spezia
  • Classi VSA e VSB dell’istituto Primo Levi di Ronco Scrivia

Alla Seduta solenne hanno partecipato le massime autorità civili, militari e religiose della Liguria fra i quali il vescovo ausiliare Luigi Ernesto Palletti, il presidente della regione Claudio Burlando, il sindaco di Genova Marta Vincenzi e i vertici della magistratura ligure.