Sul compleanno del nostro Tricolore

« Tutto questo non dovrebbe poter durare; però durerà, sempre; il sempre umano, beninteso, un secolo, due secoli …; e dopo sarà diverso, ma peggiore. Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra »

di Maurizio Natoli – D’accordo, scrivere negli anni ’50 del ‘900 come se si vaticinasse nel 1860/61 è facile, ma in questo caso il vaticinio travalica l’àmbito immediato e si situa in una regione cronologicamente (e pericolosamente) vicina a noi…

D’accordo, Tomasi di Lampedusa parlava della Sicilia (o meglio dei siciliani) ma forse quello che ha detto potrebbe riguardare un po’ tutte le realtà socio-geografiche italiane…

D’accordo, lo Scrittore era piuttosto pessimista, ma forse alla luce dei fatti era soltanto realista…

Eadem mutata resurgo, passano i governi, gli imperi, i fasti. Ad una classe dirigente se ne sostituisce un’altra, ad un modus vivendi se ne sostituisce un’altro, cambiano i soggetti ma i termini del contratto restano gli stessi.

Da allora (dall’Unità d’Italia) ad oggi il percorso è stato in salita, e continua ad esserlo, una salita continua, più o meno dura, che non lascia intravedere ne’ pianura ne’ tantomeno discesa.

D’accordo, nel frattempo abbiamo avuto 2 guerre mondiali, una dittatura (una?), una rivoluzione industriale, abbiamo assistito e stiamo assistendo ad un mutamento radicale e continuo di paradigmi: le classi dominanti non si rassegnano ai cambiamenti e cercano disperatamente di barattare le vecchie ragioni del dominio con altre, più nuove e più adeguate al nuovo mercato; da questo tensioni sociali che non sfociano nel sangue solo perchè la furbizia acquisita dai nuovi gattopardi (o sciacalletti, o iene) ha fatto si che la mannaja colpisse selettivamente – chirurgicamente – gli strati della popolazione.

Fidando nell’individualismo italico – ma sopratutto nella paura – e seguaci della regola aurea del “divide et impera”, con la tragica complicità di tutti – anche l’indifferenza è complice – i governanti che si sono succeduti nel nostro Paese hanno prodotto un risultato ormai tragicamente manifesto, e se alle volte mi chiedo se per caso fossi io a mal percepire, mi basta un’occhiata agli sguardi della gente ed al portafogli per darmi una risposta.

Fu vera gloria? Pura fiamma ardente?

Ebbene, penso che anche le idee più nobili, durante il loro percorso, come uno strascico regale, raccolgano parassiti e scorie, e credo anche che nella loro natura virale questi tendano a riprodursi ed a fagocitare l’organismo ospite, lentamente sostituendosi agli ideali; traghettati e nobilitati dalla realpolitik (che si rende sempre necessaria dopo le sparacchiate) i mercanti e le loro idee riduzioniste, lentamente cibandosi e mistificando, magari ripulendosi nel corso di qualche generazione, fanno dell’ideale mercimonio, semplicemente sostituendo un termine alla volta, sino a far perdere di vista il primum mobile, che resta seppellito dall’esegesi malevola.

Ma cosa dovremmo temere di più: un’idea diversa dalla nostra o la totale mancanza di idee?

Dobbiamo stare attenti, la seconda è ben peggiore della prima, quando i signori abbandonano il palazzo i servi ne approfittano.

Eppure com’è bello il Tricolore, vederlo salire su un pennone, ancora di più quando siamo in terra straniera, o durante le feste della Repubblica, bello pensare come un manipolo di audaci e quattro idee che si agitavano anche confuse, ma legate da un sogno che sembrava impossibile, abbiano compiuto il miracolo di unire.

Non tutto ciò che è stato fatto è stato bene, probabilmente le percentuali ‘bulgare’ che i plebisciti rivelarono non erano reali, anzi proprio nel ‘Gattopardo’ si narra che durante le votazioni per l’annessione al Regno di Sardegna (poi d’Italia) fu uccisa la buona fede nell’ingoiare le poche voci che si erano – per i motivi più disparati – levate a sostegno dell’ancien régime.

All’annessione poi seguirono i massacri, le botte, altri roghi furono accesi, da altra gente, e la storia si ripete.

Ci dicono che siamo ancora giovani, e 150 anni non sono poi tanti, ci dicono che siamo troppo diversi e che mai un Siciliano si metterebbe il grembiule come un Sudtirolese e comincerebbe di buon mattino a darsi da fare, ma credo che anche un Bolzanino, se dovesse pagare una goccia d’acqua con una goccia di sudore (come accade in Sicilia, dove d’estate sembra piovere fuoco) nel tempo abbandonerebbe i suoi lodevoli costumi per indossarne degli altri, più comodi; forse non subito, forse un paio di generazioni dopo, ma sono certo che nonostante tutto sarebbe preso dal vaneggiare solatìo, esattamente come diventerebbe un filosofo se la sua casa fosse Napoli.

Splendida idea quella dell’Unità, ma le idee, anche quelle nobili, abbisognano di un humus per crescere e fiorire e probabilmente lo spargimento di terra buona, dopo il plebiscito non è stato così equanime.

Eppure guardo il nostro Tricolore con affetto, quasi fosse la garanzia che, a dispetto di tutto, le cose andranno bene, che non c’è da preoccuparsi.

Mi fa specie che quest’anno persino Benigni, dal palcoscenico di Sanremo, ha dovuto far ricorso ai fasti dell’Impero Romano per rintracciare proprio quei valori che diedero vita al nostro Risorgimento, che da quei confini ideali fatti di lingua, Arte, Cultura, Storia, nell’irrefrenabile impulso della ‘Primavera dei Popoli’ del 1848, nello ‘sturm und drang’ accesero la miccia di un ideale romantico nazionale.

Molte cose potevano essere fatte meglio alla luce dei fatti, ma se cominciassimo a considerare l’Unità d’Italia non già un punto d’arrivo ma una semplice partenza?

Non sorge il dubbio che molto di male sia stato fatto dopo? Chiediamoci dunque perchè, dopo aver duramente lottato per conquistare il diritto a chiamarci Italiani – invece di Italici – si sia abdicato alla promessa e tradito le aspettative di tanti che, volenti o nolenti, hanno contribuito a questo grande progetto, chiediamoci se il lascito di questi uomini non sia stata troppo diviso tra eredi avidi ed indegni, tanto che il patrimonio sia da considerarsi oramai irrimediabilmente dilapidato…

Eppure quel verde, quel bianco e quel rosso mi fanno ancora commuovere.

da Flatlandia: la rubrica Corsara di Maurizio Natoli