Essay – Psicologia dei colori…

di Alfredo Sgarlato – Perché la psicologia si occupa dei colori? La psicologia si occupa di qualsiasi aspetto del comportamento umano, e i colori presentano molti aspetti che ci interessano, dal punto di vista percettivo, linguistico e simbolico. Perché vediamo il mondo a colori? Sarebbe spontaneo rispondere perché è così, ma le cose non sono così semplici. Spesso la percezione ci inganna, lo dimostra il fenomeno delle illusioni ottiche e molti animali vedono in bianco e nero e se la cavano bene lo stesso.

Quando si affronta il fenomeno della percezione dobbiamo tenere conto dei vantaggi che la specie umana ha avuto da questa sua capacità: l’uomo è un animale debole, per cui doveva essere molto capace ad individuare possibili nemici. Per cui se l’uomo vede la profondità, il movimento e il colore con grande precisione, questo avviene perché la percezione umana è fondamentalmente percezione del cambiamento e delle relazioni. Il colore in realtà è una lunghezza d’onda della luce oppure un pigmento, cioè una sostanza che assorbe la luce sino ad una determinata lunghezza d’onda o spettro. Da un punto di visto fisiologico l’uomo percepisce il colore grazie ad alcune cellule dell’occhio che si chiamano coni e bastoncelli.

I coni sono di tre tipi, sensibili a tre diversi spettri di colore primario, detti chlorolabe (sensibili al verde), erithrolabe (rosso) e cyanolabe (blu). I bastoncelli garantiscono la visione notturna. La seconda elaborazione del colore avviene in un’area della corteccia cerebrale detta nucleo genicolato laterale. Qui le cellule sono sensibili alle coppie di colori antagonisti: verde/rosso giallo/blu come se fosse un filtro on/off. L’ultima elaborazione avviene nella corteccia visiva, nella parte posteriore del cervello.

Interessante anche l’aspetto relativo alla psicolinguistica: secondo Sapir e Whorf dal particolarità del linguaggio possiamo capire la visione del mondo di una popolazione, per esempio vedi la differenza tra il nostro impersonale “piove” e l’inglese “it rains”. Berlin e Kay hanno notato come i nomi base usati dalle popolazioni varie per denominare i colori vadano da tre a undici (a cui si aggiungono le specificazione o i nomi derivati da una sostanza): bianco, nero, rosso, blu, verde, giallo, viola, grigio, marrone, rosa, arancione, più o meno in quest’ordine. Gli Hanunoo delle Filippine usano solo quattro termini per distinguere i colori, che andrebbero tradotti letteralmente secco, umido, marcio e fresco (in riferimento alle foglie). Molti popoli africani o gli Zuni americani usano un solo termine per indicare rosso o giallo e arancione, sebbene li distinguano come colori diversi, per i coreani blu e verde hanno lo stesso nome. In inglese esiste un unico termine blue, per il blu i russi ne hanno due in italiano una mezza dozzina, tra cui alcuni caduti in disuso, come perso (cfr. Dante).

Batchelor fa notare come non esista un nome per indicare un colore intermedio tra giallo e verde, se non in giapponese, midori (i giapponesi fanno tutto al contrario di noi). Secondo l’autore ciò avviene perchè percepiamo questo colore come oggettivamente brutto. Pare inoltre che nel Medio Evo la somiglianza tra i colori venisse percepita relativamente alla saturazione e non alla tonalità (es. un rosso e un blu brillante visti come più simili di due gradazioni di blu opache, studio di Michel Pastoreau).

Infine i colori hanno una fortissima componente simbolica, che può mantenersi o variare a seconda delle epoche e dei popoli, influenzata da fattori emotivi, culturali, politici, persino commerciali. Platone metteva in guardia dai colori, ingannevoli, per San Bernardo e per i cistercensi erano vanità e inganno, mentre per i francescani erano gloria di Dio. Cominciamo col bianco: per gli occidentali è associato alla luce e quindi alla presenza di Dio. Da ciò ne deriva che al bianco sono associati tutti gli attributi della bontà e della purezza: è il colore dei battesimi, delle spose. Nelle bandiere rappresenta la fratellanza. Ma allora perchè Moby Dick, la balena, è bianca? Un professore esperto di alchimia interrogato mi rispose che Melville era così razzista che nero non voleva nemmeno il nemico… Al contrario per gli orientali il bianco è (giustamente) non colore, quindi simbolo del lutto, quello che per noi è invece il nero, che associamo al buio, assenza di luce quindi di Dio, è colore dell’inferno. Ma il nero, ci fa notare lo psicoanalista James Hillman, contiene in sé tutti i colori, quindi è anche scelto da chi è portatore della “crisi”, nel senso letterale greco di cambiamento: pirati, rivoluzionari, punk. Questo è anche il significato che ha dal punto di vista emotivo, e non di depressione come ingenuamente si può pensare.

Il blu era odiato dagli antichi romani, perché non sapevano produrlo. Quindi era riservato solo ai più violenti tra i gladiatori e ai loro fans. I Galli invece sapevano produrlo e quindi Carlo Magno ne fece il colore dell’Impero (blue royal). Nella bandiera francese il blu rappresenta la libertà: perchè? Perchè la libertà individuale come valore si diffonde con l’affermarsi di una borghesia commerciale, che la intende soprattutto come libertà di mercato. Per differenziarsi da aristocrazia e proletariato la borghesia diffonde un nuovo valore, il buon gusto (il popolano non è tenuto ad averlo e il nobile è al di sopra delle critiche). E il buon gusto si esprime col vestire sobrio, in blu o altri colori scuri. Dal punto di vista emotivo il blu ispira calma, serenità, spiritualità, ma anche testa tra le nuvole. Per gli americani è simbolo di malinconia, infatti “blues” è il genere musicale in cui si canta il male di vivere.

Il rosso è stato il primo colore che l’umanità ha saputo replicare per tingere i vestiti, per cui nel mondo antico ha simboleggiato la ricchezza e la nobiltà e ancora oggi i cardinali vestono in rosso. Ma il rosso è anche colore del sangue; sangue impuro come il sangue mestruale o il sangue della deflorazione, per cui viene accostato al sesso mercenario (case e poi film “a luci rosse”). Oppure il sangue versato dagli oppressi: rosso come uguaglianza e rivoluzione comunista. Negli anni ’70 gli oggetti in plastica invadono il mercato e il rosso viene usato come colore simbolo di modernità e dinamicità. Da notare come le valenze politiche del rosso e del blu siano negli USA invertite rispetto a noi europei: là il rosso è il colore dei conservatori, votati soprattutto dai “rednecks”(“colli rossi”), gli agricoltori dal collo bruciato dal sole, il blu rappresenta i “liberals” votati soprattutto nelle città da “blue collars” (“tute blu”, operai) e “blue jackets (impiegati).

Il viola sin dall’antico Egitto era considerato colore magico oppure colore regale. Per la Cristianità è colore della Passione, per questo è considerato menagramo dai teatranti, che in quel periodo non potevano lavorare. Da un punto di vista psicologico, essendo sintesi di rosso (corpo, sangue) e blu (pensiero, spiritualità) e quindi di tonalità estreme esso indica buon equilibrio corpo/psiche ma anche edonismo e trasgressione: infatti era molto amato da decadentisti ed hyppies. Oggi è molto di moda. Nel test dei colori (test di Luscher) è spesso scelto da donne incinte, tossicodipendenti e appartenenti a minoranze etniche. Nelle favole sono citati solo i primi tre colori della scala di Berlin e Kay, più oro e argento. Nei cicli del Graal appare per la prima volta il verde. Esso è legato alla natura, per questo viene usato come simbolo di speranza (di un ottimo raccolto). Ma il verde, essendo colore della natura, che è “altro” dall’uomo, diventa nella letteratura popolare e nei fumetti il colore degli “altri”: gli extraterrestri.

I pubblicitari amano molto l’arancione, che ha i pregi del rosso e del giallo (ispira dinamismo, brillantezza) ma è meno aggressivo. Rozenweig ritiene che abbinare due colori freddi o uno freddo e uno caldo muti l’effetto emotivo ( per es. blu e viola sono ansiogeni, viola e giallo danno idea di grandiosità). Anni fa ho sottoposto alcune classi di liceo al test dei colori e nella quasi totalità dei casi i colori rifiutati erano marrone (passato, famiglia, radici) e grigio (quotidianità). Nel cinema si usano filtri colorati o luce naturale per effetti di realismo o antirealismo; vi può essere un uso creativo del bianco e nero, come in Schindler’s list di Spielberg o Il nastro bianco di Haneke, dove un bianco e nero poco contrastato simboleggia l’inferno in terra (il nazismo). Oppure come in un grazioso e poco noto film di Gary Ross, Pleasentville, dove due ragazzi si trovano per magia catapultati nella loro sitcom preferita, che si svolge in un mondo dove tutto è perfetto ma non esistono sentimenti veri. Man mano che i due ragazzi introducono un elemento di realtà appare un elemento a colori. La moda, la pubblicità, il design, la simbologia politica, le correnti artistiche, pur mantenendo queste costanti di fondo partecipano a far evolvere continuamente la percezione del colore.

– Principali riferimenti bibliografici: Maffei, Mecacci, La Visione; Kanisza, Legrenzi, Sonnino, Percezione, linguaggio, pensiero; Di Renzo, Widmann, La psicologia del colore; Batchelor, Cromofobia.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato