Festival di Cannes: premiati e delusi

di Alfredo Sgarlato – Quest’anno l’elenco dei vincitori del Festival di Cannes, a seguito di una selezione molto superiore agli anni precedenti, non ha riservato particolare sorprese. Palma d’oro annunciata a The tree of life di Terrence Malick. Per Malick ho avuto un colpo di fulmine quando ventenne vidi I giorni del cielo in un ciclo dedicato ai film sconosciuti con Richard Gere. Da allora sono tra quelli sfogliano compulsivamente riviste e siti per avere tracce di un suo nuovo film. Questo Tree of life ha molto diviso, tra chi annuncia il film epocale e chi lo trova pretenzioso ma ingenuo. Aspettiamo che arrivi una copia in provincia per il giudizio definitivo; certo è che pochi registi hanno avuto la capacità che ha Malick di filmare la natura come un’entità vivente (Tarkovskij, Weir, il primo Bergman) ma trovo fuori luogo il paragone con Kubrick, valido solo per motivi caratteriali e non artistici: tanto è illuminista e freudiano Kubrick quanto è spirituale e panteista Malick.

Gran premio della giuria ex aequo per due (anzi tre) artisti molto amati a Cannes: i fratelli Dardenne con Le gamin au velò e Nuri Bilge Ceylan con Once upon a time in Anatolia. I fratelli belgi hanno già vinto due palme d’oro, la prima con Rosetta, secondo me il film più brutto che io abbia mai visto. Nei primi film i Dardenne cercavano il realismo assoluto, il che vuol dire film senza trama e senza stile, in cui personaggi antipatici, quasi sempre ripresi di spalle, compiono gesti incomprensibili. Inoltre io penso che l’arte non possa mai essere realistica, perché è sempre filtrata dal punto di vista di un autore, e quanto più si cerca il realismo tanto più si prende in giro lo spettatore. Pare che anche i Dardenne si siano resi conto dei propri limiti e col nuovo film propongono un forte cambiamento stilistico: una star protagonista (Cecile de France, belga a dispetto del nome, vista in Hereafter), movimenti di macchina, fotografia solare, finale ottimistico. Quanto a Ceylan, già premiato coi film precedenti (Ozak, Le tre scimmie), belli ma non per tutti i gusti, era dato per favorito dai bookmakers.

Premio per la miglior regia a Nicholas Winding Refn, autore di Drive. Refn è un autore praticamente sconosciuto in Italia ma adorato dai cinefili più giovani, cosa che mi fa pensare che la cinefilia sia sempre più dvd-filia o eMule-filia. Finora i suoi film non mi avevano attratto, perché penso che il cinema violento abbia fatto il suo tempo, però dal trailer Drive mi sembra formalmente molto bello. Un premio anche a Polisse di Maiwenn, ex moglie di Luc Besson e, visti gli ultimi film dell’ex marito, allieva che supera il maestro.

Delude gli italiani il premio per il miglior attore: non il magnifico Piccoli di Habemus Papam, non Sean Penn, che peraltro ha già vinto due meritatissimi Oscar, ma lo sconosciuto in Italia Jean Dujardin, che le cronache del festival riportano come molto bravo e simpatico, per The Artist, film rivelazione che a quanto pare un premio lo meritava. Annunciata anche la migliore attrice, Kristen Dunst, che io ho trovato una meraviglia nei film di Sofia Coppola e una pagnottella negli altri, per Melancholia. Il misogino e reazionario Von Trier sottopone le sue attrici a tali tour de force che poi premiarle è inevitabile.

Come sapete io sono stato a Cannes qualche giorno fa e speravo di incontrare Von Trier per strozzarlo: il danese è capofila dell’altra tendenza che io odio di più, quella dei registi che si siedono a tavolino per shockare il pubblico e poi sparano con la pistola ad acqua. Se si vuole mostrare quanto possono essere brutti il mondo e la sua rappresentazione qualsiasi programma di Italia1 è più avanti di loro. Devo dire che con le sue dichiarazioni dovute a eccesso di psicofarmaci Von Trier mi ha persino fatto pena, ma spero che servano a impedirgli di fare nuovi film. Magari può riciclarsi come opinionista in uno di quei giornali che ospitano già altri “anticonformisti mal visti dai benpensanti” come Sgarbi o Moggi.

Veniamo ai delusi: su tutti Almodovar e Kaurismaki. Se Malick è una cotta di gioventù lo spagnolo fiammeggiante e il laconico finlandese sono amori dell’età matura (forse). Kaurismaki fa un cinema all’apparenza semplice, quasi privo di dialoghi, eppure profondo e formalmente molto raffinato. Il film precedente e alcune dichiarazioni facevano pensare a una perdita di interesse da parte sua per il cinema, invece questo Le Havre lo riporta alla forma migliore. Con La pel que habito Pedro Almodovar si cimenta col thriller. Molta critica sostiene che Almodovar non è più quello di una volta, quando era “trasgressivo”. Io lo trovo molto più trasgressivo oggi, con la sua ricerca della classicità, della bellezza formale, della complessità della trama. Prima o poi anche loro, come è successo a Visconti, Rohmer, Loach, prenderanno con un film minore una palma che farà da premio alla carriera.

I giornali di cui sopra esulteranno per i mancati premi a Nanni Moretti e a Paolo Sorrentino. Ma sia Habemus Papam, film geniale e incompiuto, ma questa è la cifra stilistica di Nanni, sia This must be the place, che dal trailer appare formalmente splendido, ma con Sorrentino non è una novità, sono stati applauditi, esaltati dalla stampa straniera (a parte qualche quotidiano ideologico) e venduti in una trentina di paesi. Se poi Variety (rivista che nel mondo del cinema è soprannominata “La Bibbia”) scrive che Sorrentino è contemporaneamente il nuovo Kubrick, il nuovo Fellini e il nuovo Scorsese dei premi l’ottimo regista napoletano se ne può anche fregare. Infine citiamo due registi che a Cannes non hanno potuto esserci: gli iraniani Jafar Panahi e Mohammed Rasoulof: sono agli arresti domiciliari per aver espresso critiche al governo. Hanno girato due film in casa propria, col cellulare, e li hanno fatti arrivare al festival su una chiavetta usb. Anche questo succede al mondo.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato