di Alfredo Sgarlato – Come da tradizione il sabato del Percfest si apre con la finale del concorso per giovani percussionisti, vinto quest’anno dal livornese Matteo Scarpettini, con un set che mescola strumenti etnici e campionamenti elettronici La scelta della giuria composta da giornalisti e musicisti (tra cui Pippo Panenero, Ellade Bandini, Hamid Drake, Gilson Silveira, Giorgio Palombino, Marco Fadda…) quest’anno dev’essere stata molto difficile poiché tutt’e tre i finalisti portavano un brano molto originale. Segue un momento istituzionale: il direttore artistico Rosario Bonaccorso e il grande Gino Paoli, più volte protagonista del festival, hanno composto una canzone dedicata a Laigueglia e ricevono la cittadinanza onoraria. Quindi Gino canta la canzone accompagnato da Rosario, Dado Moroni, Max Ionata e Lorenzo Angelucci.

Primo gruppo ad esibirsi è il quartetto di Dena De Rose, musicista dalla storia particolare. Newyorkese, nata come pianista classica, a diciott’anni ha rischiato di smettere di suonare per una grave malattia alle mani, evolutasi poi in depressione. Mentre ricominciava a suonare si è scoperta cantante e questo le ha dato la forza di continuare. Dena esegue una serie di standards immortali, cominciando con “I fall in love too easily” e poi “Travellin’ light”, “How deep is the ocean” e molte altre. Come cantante ha una voce sottile ma intonatissima, si può paragonare come stile a Chet Baker, come pianista è una valida virtuosa. Insieme al suo gruppo composto da Alessandro Maiorino (collaboratore anche dei Baustelle) al contrabbasso, ad Alessandro Minetto alla batteria e all’ottimo sassofonista Piero Odorici da l’impressione di divertirsi molto suonando e questo contagia il pubblico. Gran finale con “Imagine”, brano stilisticamente piuttosto lontano dal jazz, che quindi Dena reinterpreta fino a cambiarne la melodia. Del resto se non ci sono improvvisazione o variazione sul tema, come ha insegnato Billie Holiday e oggi fanno Dena De Rose o la nostra Danila Satragno, non è jazz ma musica leggera. Un jazz molto classico, da film di Woody Allen, che divide un po’ gli spettatori, ma i giudizi più freddi mi vengono dalle ultime file, dove forse non si è colto il feeling dei musicisti.

Secondo appuntamento con Gegè Telesforo che presenta il nuovo disco “So cool”. Qui il territorio si contamina col funky e persino il reggae. Gegè inoltre è un consumato showman e diverte il pubblico con le sue gags, specie quando presenta il gruppo, gli ottimi Max Ionata, sax, Alfonso Deidda, piano, Dario Deidda, basso elettrico e Amedeo Ariano, batteria. Molto divertente il passaggio in cui Telesforo, dopo un passaggio solista di Dario Deidda che esegue “Nuages” di Django Reinhardt si cimenta nello “human beatbox” ovvero l’imitazione della batteria fatta con la voce. Danila Satragno ascolta rapita. Un concerto pieno di ritmo, con begli assoli dei collaboratori, anche Ionata dopo Bearzatti si esibisce in un assolo di sax distorto col wah wah. Finale col pubblico tutto in piedi. Degna conclusione di un Percfest molto piacevole anche se un filino sotto edizioni precedenti. Domenica sera gran finale con la notte dei tamburi.

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