di Alfredo Sgarlato – Chiunque abbia più di quarant’anni è stato introdotto nel fantastico mondo della lettura da due singolari personaggi: Jules Verne ed Emilio Salgari (Verona 21 agosto 1862- Torino 25 aprile 1911). Entrambi furono accomunati da un destino simile: sognavano di diventare marinai, fallirono nel proprio intento (Salgari, benché tutti lo chiamassero “Il Capitano”, non finì mai il nautico), ma seppero inventare e raccontare straordinarie avventure. Peraltro Salgari, che non viaggiò mai, il posto più esotico in cui visse fu Genova, si documentava con grandissima attenzione. Prima di scrivere ogni romanzo studiava meticolosamente usi, costumi, paesaggio, flora e fauna dei luoghi in cui avrebbe ambientato un libro, per cui è grazie a lui se un qualsiasi cinquantenne pantofolaio non avrebbe problemi a distinguere un kriss da una scimitarra o un praho da una giunca.

Pubblicò il primo libro a 20 anni, col secondo, l’immortale “I pirati della Malesia” fu subito successo. Salgari arrivò a vendere 150 mila copie in un paese dove l’ 80% della popolazione era analfabeta e fu pubblicato in molti paesi del mondo. Purtroppo non seppe essere buon manager di se stesso e gli editori lo sfruttarono pagandolo pochissimo e pubblicando anche un centinaio di romanzi apocrifi o rimaneggiati. Scrisse ottanta romanzi e moltissimi racconti, oltre a numerosi articoli di giornale. Il grosso della sua produzione furono i romanzi di pirati e corsari, ma si cimentò anche nel western, nella fantascienza e nella spy story. Per tutta la vita si sentì vittima di ingiustizia ed è per questo che i suoi romanzi sono sempre storie di vendetta, elemento che, insieme all’assenza di tematiche religiose e alle storie d’amore interrazziali, lo rese inviso alle gerarchie dominanti. Passava l’intera giornata chiuso in uno stanzino a leggere e scrivere e questo minò la salute fisica e psichica sua e della famiglia.

Si sa che dietro ogni grande uomo c’è una grande donna: Salgari non avrebbe potuto scrivere se sua moglie Aida Peruzzi non si fosse occupata dei problemi pratici. Finché nel 1903 lei non ebbe un crollo depressivo e venne rinchiusa in manicomio. Per il Capitano la vita divenne sempre più difficile, fino al suicidio, accompagnato da una lettera straziante ai suoi “stampatori”, arricchitisi alle sue spalle. Un ragazzo di oggi può amare Salgari? Un pomeriggio estivo di pioggia mi è venuta la curiosità di rileggere l’inizio de “Le tigri di Mompracem”. Per due pagine si descrive una ricca casa e l’abbigliamento del signore che la abita, con una precisione che sfocia in un barocchismo forsennato, finché il personaggio, ovvero Sandokan, la Tigre (che per tutti noi avrà sempre le fattezze di Kabir Bedi) esclama: “quale contrasto! Al di fuori l’uragano e qua dentro io! Quale il più tremendo?” D’Annunzio era misurato al confronto… meno male che maghetti e vampiri innamorati hanno riportato il morbo della lettura tra le nuove generazioni. Anche se Salgari era molto più crudele, certe scene di tortura me le ricordo ancora…

Ad ogni generazione il suo mito, noi avremo per sempre pirati e corsari. A proposito, si pronuncia Salgari o Salgàri? Bruno Gambarotta afferma di aver conosciuto l’ultima governante di famiglia e che costei pronunciava Salgàri. Ernesto Ferrero, che di recente ha dedicato al grande sognatore il romanzo “Disegnare il vento. L’ultimo viaggio del capitano Salgari” dice che abbiamo sempre detto tutti Sàlgari e possiamo continuare a farlo. Decidete voi, basta che non lo dimenticate.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato