di Alfredo Sgarlato – Diceva il grande Duke Ellington: esistono solo due tipi di musica, quella buona e quella cattiva. Al primo appartengono senz’altro i Beach Buoys, supergruppo di musicisti ingauni alle prese col repertorio soprattutto anni ’60/’70. Non sono solo canzonette, altrimenti non si spiegherebbe come mai brani di Camaleonti, Ribelli, Profeti e co. dopo quarant’anni siano cantate ancora a squarciagola da tutto il pubblico.

I Beach Buoys sono Renato Spinetti e Gigi Flammia, voce e chitarra, Rossano Giallombardo, chitarra solista, Alfredo Silvestri e Maurizio Cislacchi, tastiere, Cesare Arena e Bobo Campana, batteria e percussioni, Luciano Pollero, basso. A far da padrona di casa Sandra Berriolo, la nostra pungente corsivista. Nella prima parte della serata la fanno da padrone le canzoni anni ’60, soprattutto le covers di canzoni straniere, come “L’ora dell’amore” (“Homburg” dei Procol Harum), “Ho difeso il mio amore” (“Knight in white satin” dei Mooody Blues) con un bell’arrangiamento prog o l’immortale “Ragazzo di strada” (“I ain’t no miracle worker”, unico 45 giri dei Brogues), col tagliente assolo di Giallombardo.

Quindi spazio strumentale, con molti brani di Santana, dove anche Silvestri e Cislacchi oltre a Giallombardo si lanciano in ottimi assolo, fino ad una pirotecnica “Soul Sacrifice” dove, come avveniva a Woodstock, sono i percussionisti a far da padrone; omaggiata anche la PFM con “Impressioni di settembre” ed “è festa” Campana si cimenta anche come cantante in “Bella senz’anima” e nella seconda parte del concerto arrivano molte altre hits dell’epoca d’oro anche sotto forma di medley, superando le due ore di musica, niente male.

Operazione nostalgia? Non si può dire, perché questi musicisti non hanno mai smesso di suonare, anche con altri gruppi, e questi brani sono sempre i più amati dal pubblico, mentre le novità faticano ad imporsi. Avrei però una richiesta da fare: non suonate mai più “Anima mia” dei Cugini di campagna!

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