di Guglielmo Olivero – Nome: Renato. Cognome: Di Rocco. Professione attuale: presidente del comitato nazionale della Fci. Professioni precedenti: meglio tralasciare, anche se qualche magistrato potrebbe fornire dati interessanti su questo piccolo uomo diventato uno degli alti esponenti del Coni (del resto se il presidente è Petrucci, cosa pretendere?). Perché ci occupiamo di questo personaggio su un sito che si occupa dello sport del Ponente? La risposta è semplice, non  certo per omaggiare un uomo al quale hanno <baciato le mani> in molti (e chi vuole intendere…). Ne parliamo semplicemente perchè questo signore una ventina di anni fa, tra i suoi tanti affari poco chiari, mise lo zampino su delle manifestazioni organizzate da sodalizi della provincia di Savona.

Erano i tempi in cui il ciclismo era un traino turistico nel mese di febbraio, quando si partiva con il Trofeo Laigueglia e Nizza-Alassio.  Tempi cioè nei quali il ciclismo era una cosa seria e mai si sarebbe pensato, come ha poi fatto l’Uci, di dare il via libera ad oscene corse in Australia ed America a gennaio, con tanta puttanesca adesione delle società sportive. Ma tornando a noi, proprio in quegli anni il signor Di Rocco (oggi purtroppo osannato anche dai responsabili della Fci ligure) mise il bastone delle ruote sulle corse nostrane, portandole ad un inarrestabile declino. Nulla poterono gli organizzatori nostrani reggere il confronto con il Giro della Sicilia che nasceva in concomitanza, sponsorizzato, guarda caso, dal signor Di Rocco.

Come quei signori troavarono gli sponsor è facile immaginare, e non ci vuole un magistrato per capirlo. Ed è anche facile capire, conoscendo gli apparati del sistema sportivo (molto più sporchi di quello della politica)  il perchè questo signore, senza infamia e senza lodi, ha salito tutti i gradini della sua carriera, facendo precipitare giù dalla scala valenti dirigenti. Adesso questo signore dirige il movimento ciclistico italiano e pochi osano scavare su come sia arrivato lassù. Non per competenza, questo si capisce. Anche perché sarebbe strano vedere ai vertici di questo sport, anche a livello internazionale, gente che se ne capisce. Se fosse il contrario oggi Pantani sarebbe ancora vivo e non lo si celebrerebbe ogni anno nella salita più dura del Giro d’Italia. Omaggiato da chi prima, senza pietà, lo ha portato alla morte.