Débat – Un programma comune per l’opposizione di sinistra

di Franco Astengo – L’emergenza democratica appare evidente all’interno della situazione venutasi a creare con le modifiche apportate dal Governo alla manovra finanziaria.

Hanno scritto autorevoli commentatori dalle colonne di giornali sicuramente non sospettabili di estremismo di: “rottura del patto con i cittadini”, in particolare al riguardo dell’intervento sulle pensioni di anzianità, ma anche più in generale (non dimentichiamo l’elemento “beffa” del rimandare a disegni di legge costituzionali la riduzione del numero dei parlamentari, intervento comunque del tutto discutibile in questa forma, e della presunta abolizione delle province).

Siamo già in una fase di regressione rispetto ai dettati del costituzionalismo liberale classico e la nostra Costituzione, più avanzata di quei canoni, appare apertamente violata in diversi punti.

L’interrogativo è questo: le forze politiche stanno rendendosi conto dello stato di cose in atto? Ci sarebbe da dire di no viste, ad esempio, esitazioni e dissensi che agitano il PD al riguardo dello sciopero generale proclamato per il 6 Settembre dalla CGIL (iniziativa da far riuscire assolutamente, intendendola come prima tappa di un non breve processo di ricostruzione dell’opposizione sociale partendo dal mondo del lavoro) e le incertezze che emergono, sempre in questo partito, rispetto alla “questione morale”: una “questione morale” che, come scriveva Carlo Galli ieri sulle colonne di “Repubblica”, sta minando alla base la credibilità del partito.

Su questo punto il segretario del PD deve rompere gli indugi e fare piena chiarezza, senza difese d’ufficio o la richiesta di “passi all’indietro” all’interno di una logica del tutto giustificazionista che, in questo frangente, non ha alcun senso.

L’obiettivo di questo intervento è però rivolto ai partiti di sinistra, attualmente collocati fuori dal Parlamento dopo la sciagurata scelta dell’Arcobaleno nel 2008 (sulla quale i gruppi dirigenti autoreferenziali di questi soggetti non hanno aperto alcuna riflessione, esercitandosi soltanto nell’antica arte della composizione frazionistica e delle scissioni).

Serve uno scatto, da parte della sinistra ancora presente in questo Paese, uno scatto teso a dimostrare che c’è spazio per ricostruire un riferimento politico alla rabbia e alla voglia di riscatto che sale dalla base sociale: rabbia e voglia di riscatto che difficilmente potrà esprimersi appieno senza la costruzione – appunto – di un preciso riferimento politico.

Molti si stanno interrogando su questo punto: il rischio vero è quello di un’ulteriore dispersione di forze, di un impegno che non trovando sbocco concreto rifluisca, per l’ennesima volta, nella conservazione individualistica, o nel settarismo di piccoli gruppi, insignificanti sul piano politico.

È sbagliato, inoltre, cercare di porre come riferimento un ulteriore passaggio, del tutto forzato, sul terreno della personalizzazione della politica: una strategia perdente, così com’è perdente l’allineamento con meccanismi mutuati dall’avversario anche sul piano elettorale; su questo punto occorre essere massimalisti, l’obiettivo deve essere quello della “proporzionale” e del riequilibrio anche a livello parlamentare tra governabilità e rappresentanza. Non è certo il ritorno ai collegi uninominali la strada maestra in questa direzione.

Ciò affermato, a futura memoria, ecco la proposta concreta: l’elaborazione di una piattaforma comune elaborata dalle opposizioni di sinistra da portarsi avanti con una forte iniziativa di lotta, prolungata nel tempo, con l’obiettivo –anche- di ricostruire un tessuto di radicamento sociale sul territorio.

Una piattaforma che deve comprendere molti “NO”: a partire dai contenuti della manovra da considerarsi tutti “odiosi”. No anche alle modifiche costituzionali agli articoli 41 sulla libertà d’impresa, e 81, fissazione del deficit in Costituzione. Debbono esserci anche molti “SI”: al ripristino dello Statuto dei Lavoratori e del concetto di contratto nazionale di lavoro, alla patrimoniale il cui gettito deve essere destinato a investimenti pubblici nel campo delle infrastrutture, della sanità, dell’utilizzo del territorio, a un progetto di ristrutturazione del meccanismo di relazione tra Stato ed Enti Locali sul terreno istituzionale , fiscale, della regionalizzazione di determinati servizi rivelatasi un assoluto fallimento, all’idea “forte” dell’Europa Politica, all’immediato ritiro dell’Italia da tutte le missioni di guerra con l’avvio di una vera politica estera di pace.

Un “programma comune” che affronti, complessivamente, il tema della “decostituzionalizzazione” del sistema politico e dell’insieme delle relazioni sociali e civili in Italia.

Va messo in cantiere un grande appuntamento a partire da tutte le province, cui far partecipare i soggetti organizzati, i movimenti, le singole forze disperse dalla diaspora di questi anni, senza vincoli di precedenza ideologica ormai privi di significato , per arrivare a formare un’Assemblea Nazionale di delegati in vista di una “Costituente per l’Alternativa”. Senza forzature organizzativistiche, ma con un obiettivo ben preciso: forse attraverso questa strada, nel 2013, la sinistra potrebbe ritrovare la via della rappresentanza parlamentare proponendo una propria autonomia programmatica e politica, senza dover dipendere da “miracoli dall’alto” o da vincoli all’interno di meccanismi che negherebbero, alla fine, i due punti fondamentali: quelli del collegamento con la crescente indignazione sociale, il recupero della propria autonomia e della propria identità sul terreno dell’agire politico e del radicamento sul territorio.