di Alfredo Sgarlato – Quest’anno il Premio Tenco si presenta con un’edizione sottotono per colpa del ridimensionamento del budget: nessuna scenografia, il palco sembra più quello di un centro sociale che quello del Teatro Ariston, ma l’effetto non è male, niente eventi collaterali, non viene distribuita la rivista “Il Cantautore”. Ma l’effetto peggiore della crisi è la sala semivuota: saranno tutti al ristorante o in aereo? Oppure la scelta di musicisti in gran parte non ancora affermati ha tenuto lontano il pubblico: ma allora il pubblico non ha capito lo spirito del Tenco, che è sempre stato lanciare nomi nuovi, Paolo Conte o Vinicio Capossela hanno mosso i primi passi su questo palco.

Questa edizione coincideva con il centenario della nascita di Amilcare Rambaldi e col doppio anniversario legato al maestro di De Andrè George Brassens (novant’anni dalla nascita e trenta dalla morte) per cui il direttivo ne ha fortemente voluto la realizzazione, ma come tutte le istituzioni culturali in Italia il Premio Tenco è a rischio chiusura. Dopo le dolenti note passiamo a quelle gaudenti, cioè quelle musicali. Non ho seguito la prima serata; la seconda si apre con l’omaggio a Brassens da parte di Alberto Patrucco, più noto come comico ma anche valido interprete. Quindi Cesare Basile, personaggio importante del rock italiano sotterraneo, è nato a Catania (da alcuni anni una delle capitali della musica italiana) e ha vissuto a lungo a Berlino. I primi tre brani che esegue sono tratti dal nuovo album “Sette pietre per tenere il diavolo a bada”, cantato in italiano e siciliano, si accompagna con la chitarra e un batterista. La sua musica mescola il folk con un rock oscuro anni ’80. Chiude con un classico di Ignazio Buttitta e Rosa Balistrieri e con “Il galeone”, una canzone degli anarchici. Molto bravo.

Segue Iosonouncane (Jacopo Incani), autore al primo album “La macarena su Roma”, molto apprezzato dalla critica. Canta due brani lunghi, il primo su basi elettroniche, il secondo con la chitarra. Il pubblico è un po’ diviso, ai miei amici piace, a me sembra più valido come autore di testi che di musica. Chiude la prima parte Carrie Rodriguez, graziosa cantautrice e violinista texana, figlia d’arte e collaboratrice di Bill Frisell. Il suo è quel classic rock americano che non è proprio il mio genere, ma ha una bella voce e si lascia ascoltare. Il tappabuchi nei cambi palco quest’anno è Peppe Voltarelli, che oltre ad essere bravo musicista è anche molto divertente coi suoi discorsi strampalati, come hanno potuto apprezzare i molti fortunati che quest’estate hanno affollato la sala consiliare di Loano per un suo concerto applauditissimo.

Aprono la seconda parte i Mariposa, una delle più originali band italiane, qui nella versione più pop e leggera (nel senso della leggerezza secondo Calvimo), ma capaci di sconfinare in tutti i generi musicali. Son sei ottimi strumentisti con ospite la cantante Serena Altavilla dei Baby Blue. Eleganti, sbarazzini, eseguono quattro brani e ne vorremmo ascoltare ancora. Quindi Roberta Alloisio, vincitrice della Targa Tenco come miglior interprete con l’album “Janua”, accompagnata nel primo brano da Armando Corsi alla chitarra, negli altri da Fabio Vernizzi, piano, Mario Arcari, fiati, Riccardo Barbera, basso, Marco Fadda, percussioni. I brani sono stati scritti per lei dallo stesso Corsi, da Max Manfredi ed altri. Ottima esibizione, purtroppo un po’ breve.

Chiude Edoardo Bennato, un musicista che quando ero ragazzo spopolava, poi è stato dimenticato e ultimamente è riapparso in buona forma. I brani nuovi, ballate elettriche, sono convincenti. Nel finale si scatena con due suoi classici, i rock’n’roll “In prigione in prigione”, quanto mai attuale, e “Rinnegato”. Purtroppo il suo set, che è più potente degli altri, non è ben missato, almeno i primi brani. Ma la sua prestazione non ne è danneggiata e i fan hanno potuto apprezzare un musicista sempreverde. In conclusione, gli assenti come sempre hanno avuto torto.