di Franco Astengo – Nel turbinare della crisi e nella fase d’avvio di questo governo che punta a razionalizzare, sul piano della tecnocrazia liberista, le soluzioni più adatte, sul piano economico e sociale, per mantenere potere e privilegi dei “poteri forti” ristabilendo, ideologicamente, vere e proprie “condizioni di classe”, la sinistra italiana è chiamata a rispondere collocandosi, sul piano dell’analisi e del livello di azione politica, all’altezza della dimensione dello scontro.

In questa fase è evidente come ci si debba porre al livello dell’Europa, per ciò che l’Europa è diventata economicamente, politicamente, istituzionalmente: l’Europa a 27, questa nella quale 17 paesi hanno adottato l’Euro come moneta unica, questa della BCE e della Commissione di Bruxelles: l’Europa che, qualche anno fa ha fallito l’appuntamento con la Costituzione Europea, tema sul quale mi permetterò di ritornare fra poco.

La sinistra italiana deve superare un antico retaggio di diffidenza verso l’Europa: sia quella di derivazione “storica” (un pregiudizio mai superato, nonostante le proclamazioni verbali e il fatto che il PCI avesse dedicato addirittura un congresso, il XVII, a un suo progetto di “integrazione nella sinistra europea”) rimasta ancora nel profondo legata alla logica dei blocchi e all’idea della “via italiana al socialismo”, e quella di ascendente movimentista che ha sempre prediletto una dimensione “internazionalista”, declinata in terzomondismo e altermondismo, particolarmente accentuatasi attraverso una certa analisi della “globalizzazione” (in questo in piena simmetria con una certa parte dell’impegno cattolico in politica).

Soltanto al livello europeo, infatti, possono collocarsi oggi i due punti decisivi di una coerente azione politica della sinistra: quello relativo alla necessità, qui ed ora, di lottare per la difesa delle condizioni materiali di vita dei ceti più deboli, dei diritti dei lavoratori, dell’impegnarsi, cioè, in quella fase difensiva che è necessario condurre senza tema, a mio giudizio, di subire accuse di neo-corporativismo e senza cadere nella trappola dello scontro tra generazioni e quello relativo alla prospettiva, al futuro più o meno immediato, alla prospettiva di una transizione che ci porti gradualmente fuori dalla crisi in una direzione diversa da quella che stanno imponendoci i sacerdoti del liberismo.

L’Euro va mantenuto e difeso, pur con tutti i limiti che l’istituzione della moneta unica ha presentato nel corso di questi anni che decorrono dalla sua istituzione.

Non entro, ovviamente, nel dettaglio delle singole proposte politiche, dell’impianto programmatico che pure è necessario elaborare a quel livello e mi limito a due indicazioni politiche: la prima riguarda la necessità di apertura di un confronto stabile tra le forze di diversa derivazione che si muovono nell’ambito della sinistra europea, al di là delle provenienze di carattere storico ed ideologico, unendo in uno sforzo comune “riformisti” (quelli veri per intenderci), e radicali, sia di origine comunista, sia di derivazione ambientalista, e rappresentativi delle nuove contraddizioni “post-materaliste”.

Non si tratta, sia chiaro, di un generico richiamo unitario, che pure in questo momento avrebbe il suo valore intrinseco, ma di una proposta politica raccolta attorno ad un obiettivo ben preciso: abbiamo tante volte parlato di “deficit democratico” dell’Europa, di necessità di una “Europa politica”.

Ebbene il conseguimento di questo obiettivo passa attraverso il rilancio della proposta di una Costituzione Europea, da avanzarsi adesso proprio nel momento di maggiore difficoltà in cui la crisi viene affrontata secondo ricette lontane anni-luce da questo concetto, all’interno di “stanze separate” sedi occulte di un abnorme concentrato di potere, posto al di fuori da qualsiasi forma di controllo democratico.

Il paragone, se intendiamo limitarci alla storia del “caso italiano”, è ardito e risale alla Liberazione, quando la sinistra attorno all’idea della Costituzione realizzò, dopo aver pagato il tributo di sangue che ricordiamo nel corso della lotta al nazifascisimo, la propria effettiva legittimazione nazionale.

Oggi, per combattere davvero efficacemente lo scontro che stiamo vivendo, occorre un altro sforzo di piena ed effettiva legittimazione: quella europea.