Political Essay – Fuori dal Partito Democratico, oltre il Partito Democratico

di Franco Astengo – La formazione del Governo Monti ha rappresentato un indubbio elemento di novità all’interno del sistema politico italiano, al di là del suo pervicace procedere su di una linea liberista nell’affrontare la crisi il cui prezzo sarà pagato interamente da masse popolari ulteriormente impoverite e al riguardo delle quali si pone ineludibile la necessità di affrontare la lotta politica recuperando per intero i termini, considerati ormai desueti invece sempre attuali, dell’antica “lotta di classe”.

In quest’occasione, però, ci limiteremo ad analizzare alcuni elementi riguardanti la dinamica del sistema politico, con particolare riguardo al Partito Democratico.

Partiamo da un assunto: il Partito Democratico non potrà rappresentare il soggetto di riferimento per un’alternativa che, invece, in collegamento con il quadro europeo, è necessaria e urgente per il Paese. Andando per ordine è necessario valutare con attenzione un dato: il governo Monti rappresenta un dato di novità vera sotto due aspetti.

Il primo riguarda la sua natura “presidenziale”, di vera e propria ratifica dell’affermazione della Costituzione materiale sulla Costituzione formale: si è aperto, in questo modo, un interrogativo di fondo per le forze politiche. Andare avanti su questa strada e quindi affrontare il tratto che separa la Repubblica parlamentare da una Repubblica presidenziale? Oppure tornare immediatamente all’indietro e ripristinare sul serio i meccanismi istituzionali della Repubblica Parlamentare?

Il secondo elemento riguarda il futuro: quale segno politico questo Governo vorrà lasciare a livello di sistema? E’ indubbio che, al di là delle candidature dei singoli, in questo senso qualcosa andrà muovendosi, indipendentemente se le elezioni saranno anticipate al 2012 (in questo caso, a maggior ragione, essendo- nell’eventualità di questo scenario – il governo caduto “da destra”, si renderà necessario reperire una forma di presentazione elettorale del dicastero) oppure se si arriverà al 2013 (in questo caso, al di là della qualità della “missione compiuta” appare difficile reperire in giro il Cincinnato di turno).

Allora appare evidente che la formazione del Governo Monti e l’esito della prima fase della sua attività chiama i partiti a un rapido riallineamento sistemico: di questo fatto si sono già accorti tempestivamente Lega e IdV, collocandosi immediatamente all’opposizione e candidandosi alla rendita che fisiologicamente questo tipo di posizione assegna a chi la occupa e il “Terzo Polo” che, al contrario si candida, a essere il soggetto politico costitutivo del “farsi carico” dello imprinting espresso dal Governo Monti ai fini di una trasformazione in fattore elettorale.

In questo quadro il PDL appare prigioniero della sorta di “ridotta della Valtellina” in cui il suo leader tende a trasformare il Partito (non a caso abbiamo parlato di “caduta da destra” possibile per il nuovo Governo), ma sono molti i topastri pronti ad abbandonare la nave prima del naufragio.

In netto ritardo il PD, appunto, mentre a sinistra pare non si voglia prendere atto della difficoltà evidente che incontra la linea politica elaborata da SeL, sia rispetto alle primarie, sia rispetto al rinnovo di un’alleanza di centrosinistra nei termini di “Nuovo Ulivo” e appare molto complessa la ricerca di una modalità utile per il necessario rientro in Parlamento di una componente che faccia riferimento all’eredità della “sinistra storica” rivolgendosi nello stesso tempo, con una qualche efficacia ai nuovi movimenti sociali, sia di tipo politico (pensiamo alla spinta dal basso che si è verificata in occasione delle elezioni amministrative, in particolare a Napoli e Milano), sia al riguardo del tema dei “beni comuni”, sia della richiesta di mobilitazione dal basso e di nuova partecipazione democratica (popolo “viola”, movimento 5 stelle).

Proprio il PD è chiamato, però, per le sue dimensioni e le ambizioni dei suoi dirigenti, ad aprire la riflessione più accurata. Molto modestamente, in quest’occasione, proponiamo sei punti di dibattito:

  1. Al di là del tema della “fusione fredda” (o della d’alemiana “amalgama non riuscita”), nel PD si nota l’assenza completa di una proiezione di tipo internazionale (la perlomeno ambigua collocazione al Parlamento Europeo appare fortemente indicativa, sotto quest’aspetto).I DS avevano comunque tentato se si pensa all’“Ulivo Mondiale” (formula un po’ pretenziosa per la verità). Adesso si nota un respiro appena provinciale, una sostanziale incapacità di muoversi su di un terreno più ampio. La gestione della crisi è stata portata avanti, sempre per esempio, senza che si sia notato un passo perlomeno significativo a livello europeo. Perché quando Merkel e Sarkozy hanno preso in mano la gestione europea in forma dualistica, non si è proposto un passo comune, ad esempio a SPD e PSF.?Questo per limitarci all’Europa. Quali rapporti, tanto per andare avanti ad esempi, ha il PD con le forze democratiche del BRIC e quale politica di vicinato propone all’Europa nell’area mediterranea?
  2. Il secondo limite sul quale il PD dovrebbe interrogarsi a fondo risiede nell’essere nato, sul piano della “mission” esclusivamente sul terreno della “governabilità” a pieno scapito del concetto di rappresentanza esordendo , alle elezioni del 2008, con un tentativo di bipartitizzazione del sistema, forzando lo schema bipolare per coalizione al quale gli elettori si erano abituati votando con il sistema misto del 2003 (ricordate “bipolarismo per caso”, ecc., ecc.). L’idea della “vocazione maggioritaria” si è rivelata a questo modo assolutamente sciagurata e la sconfitta del 2008 di proporzioni esiziali, quasi delle dimensioni di quella subita dal Fronte Popolare nel 1948. Nella sostanza con la “vocazione maggioritaria” si è favorito l’avversario, non vedendo l’articolazione esistente nel rapporto tra il sistema politico e la società. Un errore grave, non rimediabile a tavolino con la continuità sostanziale del gruppo dirigente, al vertice come in periferia;
  3. L’idea della governabilità quale unico riferimento per la vita del Partito, oltre a dar vita a fenomeni personalistici sinceramente imbarazzanti (ad esempio quello riguardante il sindaco di Firenze, Renzi) ha impedito al PD, oltre alla già citata verifica della mutazione delle fratture sociali, anche la possibilità di afflusso nel Partito di nuovi soggetti non interessati a collocazioni istituzionali e di governo, ma interessati a far valere collettivamente le ragioni di determinate istanze sociali;
  4. In collegamento al punto tre va chiarito come il rapporto tra concetto di governabilità e realtà della base sociale, abbia fatto intendere il PD quasi come una sorta di soggetto formatore delle “liste d’attesa” per ruoli istituzionali e di sottogoverno, in particolare e in una dimensione molto forte, alla periferia, anziché come luogo di militanza politica. Un fattore questo sulla base del quale si sono originati anche episodi legati all’intreccio tra questione politica e questione morale, non ancora risolti, dal caso “Sesto San Giovanni” a quello della giunta pugliese;
  5. Il PD non è riuscito a realizzare un’ipotesi di “partito nazionale” (nella concezione che molto opportunamente porta avanti Ilvo Diamanti). Esiste , infatti, una discrasia molto forte fra la composizione, indubbiamente interclassista, del partito e la base elettorale ancora concentrata prevalentemente nelle antiche roccaforti “rosse” del Centro Italia e di alcune città ex-industriali come Genova. Come può un Partito che pretende di essere “a vocazione maggioritaria” ottenere all’incirca il 10% dei voti in zone nevralgiche del Paese, in particolare al Sud?
  6. Infine: la riflessione che c’è capitata di proporre in quest’occasione appare urgente e indispensabile alla vigilia di un probabile riallineamento del sistema. In questo senso come sta la discussione collettiva nel PD? Come funzionano i suoi organismi dirigenti, al di là delle dichiarazioni e delle interviste di questo/a o di quello/a, considerato che nel corso di questi ultimi mesi abbiamo annotato pochissime o quasi nessuna presa di posizione degli stessi organismi dirigenti? Come sono valutate le primarie che, nel caso genovese, appaiono davvero lo sfogatoio per improbabili ambizioni personali e faide di corrente?

* Franco Astengo – Savona, politologo

1 Commento

  1. Eravamo al 28/12/2011 da pochissimo insediato il governo tecnico ma già passato ai raggi X del mitico Prof. Astengo il quale spietatamente aveva gia capito l’antifona..!!..
    Una buona e ampia fetta del Paese aveva creduto alla storia del default, del “rischio Grecia” , al pericolo dell’oscuro SPREAD e a molte altre efficaci battute ad effetto, utili a legittimare in qualche modo le politiche filo-eurocratiche che di lì a poco il super tecnico avrebbe varato, riversandone gli ONERI come previsto già allora da Astengo, sul popolo.

    ..Definire politico predittore il Prof Astengo è ancora poco..!
    Per questo e molto altro accogliamo sempre con piacer ei Suoi chiarissismi articoli.

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