di Alfredo Sgarlato – Carlo Fruttero aveva avuto dal destino la maledizione più terribile, l’intelligenza, e il dono più grande, l’ironia. Mentre l’Italia sognava l’impero Fruttero sognava di vivere in una casa piena di libri, tra cui i proibiti Kafka (“niente male”) ed Hemingway (“un po’ salame”). Dopo aver vissuto qualche anno a Parigi lavorando come operaio divenne scrittore e direttore editoriale, pubblicando in coppia con Sergio Solmi “Le meraviglie del possibile”, prima antologia di fantascienza uscita in volume e traducendo scrittori allora ignoti come Borges e Salinger (parlava cinque lingue).

Decisivo l’incontro con l’alter ego letterario Franco Lucentini: insieme diressero per molti anni Urania (con grandissimi meriti e qualche colpa, vedi i romanzi tagliati per motivi di formato), scrissero gialli formidabili come “La donna della domenica” o “A che punto è la notte”, una raccolta di poesie ermetiche, “L’idraulico non verrà”, e il saggio decisivo “La prevalenza del cretino”, che ognuno dovrebbe tenere sul comodino.

Quando l’amico Lucentini fu colpito come Primo Levi dal male oscuro dei sopravvissuti scelse di vivere in Toscana, lui torinese doc, vicino alla tomba dell’altro suo grande sodale, Italo Calvino, il maestro della leggerezza. Così, disse, avrebbero potuto prendere insieme un thè nell’aldilà, in cui in realtà Fruttero, disincantato verso ogni credo e ideologia, non credeva granché.

Non scriverò di lui che “i migliori se ne vanno”, mi fulminerebbe per un simile luogo comune. Piuttosto mi chiedo se da qualche parte ci sia una mente bacata che stia pensando “uno di meno”.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato