Political Essay – Ipotesi di Sistema elettorale: riduzione parlamentari, bicameralismo partitario

di Franco Astengo – Il testo che seguirà queste brevi note introduttive recupera un progetto di riforma del sistema elettorale elaborato qualche anno fa, nel tentativo di tenere assieme due elementi fondamentali come quello della rappresentatività politica e della governabilità, entrati in conflitto ormai da molto tempo, all’interno del sistema politico italiano: da quando, cioè, l’idea maggioritaria (fatta prevalere surrettiziamente presentandola in modo mistificatorio all’elettorato attraverso un referendum svoltosi il 18 aprile 1993, nel momento culminante della crisi di “Tangentopoli”, con l’idea di togliere di mezzo i partiti ed esaltare decisionismo e personalizzazione della politica) pareva la salvezza da tutti i mali cui era afflitto il nostro Paese.

Così non è stato, come purtroppo possiamo costatare con grande facilità: i partiti, ridotti a gusci vuoti, non sono mai stati così potenti sul piano di un assolutamente esagerato finanziamento pubblico e del potere di nomina senza disporre di un reale radicamento sociale e di una effettiva capacità d’incidenza sulla realtà; abbiamo attraversato un regime populistico-mediatico il cui modello è stato imitato pericolosamente anche a sinistra; nella crisi finanziaria mondiale e del particolare peso che questa crisi ha assunto nelle dinamiche europee, all’interno delle quali emerge un gravissimo difetto di governance democratica, l’Italia ha accusato particolari difficoltà dovute a un vero e proprio scollamento tra istituzioni e società ed è attraversata, in questo momento, non solo da ipotesi secessionistiche ormai presenti da molto tempo nel suo tessuto politico, ma anche da ondate di vero e proprio ribellismo di tipo corporativo, se non di vera e propria “jacquerie”.

Il tema della legge elettorale s’impone, quindi, come punto di un possibile nuovo sistema di relazioni sociali e politiche complessivamente intese, in un momento in cui ai temi cui si è già sommariamente accennato se ne aggiunge un altro, a mio giudizio, assolutamente definitorio: con il nuovo governo si situeranno diversamente gli assi di frattura sui quali le forze politiche saranno chiamate a collocarsi nel confronto elettorale.

Sul “continuum” destra/sinistra avremo dunque: l’ipotesi razzistico/secessionista/ribellista (al Nord come al Sud); quella presidenzial-populista; quella proposta dall’attuale governo (indipendentemente dalle candidature) che potremmo definire della lettera della BCE e delle privatizzazioni (ho semplificato molto, ma mi pare un riassunto abbastanza efficace), quella di un liberalismo socialmente temperato, quella di un ritorno al modello socialdemocratico con all’interno componenti più radicali, comprese quelle di derivazione dalla sinistra storica comunista e socialista e quelle ambientaliste(da comprendersi, beninteso, all’interno del modello socialdemocratico).

Su questi nuovi (e antichi) “cleavages”, tra i quali sarà centrale quello proposto dall’attuale governo, il sistema dei partiti sarà chiamato a riallinearsi velocemente, superando nei fatti lo schema bipolare che, ormai, appare del tutto inadeguato alle esigenze di rappresentanza della società italiana.

Intendo affermare come sarà necessario un rimescolamento delle carte di proporzioni molto rilevanti, simile a quello che si verificò tra il 1992 e il 1993. Con buona pace delle illusioni di qualcuno nel sistema attualmente in piedi, non esistono più “partiti-magnete” e neppure leader carismatici in grado di produrre da soli una svolta, in una qualsivoglia direzione.

È evidente che, all’interno di uno stato di cose di questo tipo, ci si troverà in una condizione molto simile a quella del 1946 e del 1994: con margini, cioè, di assoluta incertezza nella possibilità di valutare a priori la forza dei soggetti in campo.

È per questo motivo che ho ritenuto di recuperare l’idea di un sistema elettorale proporzionale a doppio turno con premio di maggioranza al secondo turno, affrontando anche i temi del numero dei parlamentari e del bicameralismo paritario, come si vedrà nel dettaglio del progetto che vado a esporre.

Ricordo, infine, che entrambi i sistemi adottati tra il 1994 e il 2005 non hanno posto rimedio alla frammentazione partitica, molto accentuatasi con le elezioni del 1994, 1996 e 2001, poi apparentemente ridottasi con le elezioni del 2008 (operazione, fallita, della “vocazione maggioritaria”), riduzione smentita nel corso della legislatura attraverso numerose scissioni subite dai gruppi più numerosi che hanno dato luogo a una frammentazione più o meno analoga a quella verificatasi nel periodo 1948-1987 (poi dal 1987 l’emergere delle contraddizioni post-materialiste portarono effettivamente a un inasprimento del fenomeno della frammentazione stessa).

IPOTESI DI SISTEMA ELETTORALE: PROPORZIONALE A DOPPIO TURNO CON PREMIO DI MAGGIORANZA – Allo scopo di avviare, nelle sedi più diverse, la discussione sulla modifica (necessaria) del sistema elettorale e proponendo anche modifiche costituzionali importanti dal punto di vista della rivitalizzazione della centralità del Parlamento (monocameralismo o seconda camera delle Autonomie locali eletta, come il Senato Francese, in via indiretta; statuto delle opposizioni; sfiducia costruttiva) riprendiamo dunque, da precedenti elaborazioni portate avanti negli anni scorsi, un’idea di sistema elettorale a doppio turno, sulla base di circoscrizioni interregionali, con voto di preferenza (anche plurimo, si potrebbe pensare a due preferenze esprimibili).

Nel caso di compresenza tra Camera dei Deputati eletta a suffragio universale e Camera delle Autonomie eletta con un sistema di secondo livello, è evidente che la fiducia al Governo dovrà essere concessa soltanto dalla Camera dei Deputati. A questo modo (trattandosi di circoscrizioni ampie, anche se l’assegnazione dei seggi all’interno della circoscrizione avviene con il metodo d’Hondt, sicuramente preferibile, è possibile, a differenza del sistema spagnolo e del progetto Ceccanti-Vassallo del 2007, avere la rappresentanza anche delle formazioni minori, senza privilegiare troppo le forze etnoregionalisti) potrebbe essere garantito l’equilibrio tra rappresentanza e governabilità, all’interno di un sistema dove la convivenza bipolarismo e presenza delle forze politiche risulterebbe possibile (riportiamo l’attenzione a quanto riferito poco sopra su statuto delle opposizioni e sfiducia costruttiva).

FUNZIONAMENTO. ISTITUZIONE DI RIFERIMENTO: PARLAMENTO MONOCAMERALE COMPOSTO DA 500 MEMBRI. ASSEGNAZIONE DEI SEGGI: 400 SEGGI AL PRIMO TURNO CON CRITERIO PROPORZIONALE, 100 SEGGI AL SECONDOTURNO CON PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA LISTA O ALLA COALIZIONE VINCENTE, NELLA SEGUENTE PROPORZIONE: 75 A 25; MECCANISMO DI VOTO AL PRIMO TURNO: L’Italia sarà suddivisa in 9 grandi circoscrizioni (Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria 40 seggi; Lombardia 67 seggi; Emilia – Romagna 32 seggi; Triveneto 53 seggi; Toscana, Marche e Umbria 44 seggi; Lazio, Abruzzi, Molise 50 seggi; Campania 35 seggi; Puglia, Basilicata e Calabria 39 seggi; Sicilia e Sardegna 40 seggi).

ASSEGNAZIONE DEI SEGGI AL PRIMO TURNO: Si presentano le forze politiche senza alcun vincolo tra di loro, e all’interno di ciascheduna circoscrizione si assegnano i seggi con il metodo d’Hondt (da discutere eventuale clausola di sbarramento, non superiore però al 3% all’interno della circoscrizione, ovviamente, non essendoci in questo caso alcuna possibilità di recupero di resti). A questo modo le forze politiche si misurano e ottengono seggi senza la defatigante contrattazione nei collegi (l’ultimo quoziente, per ogni circoscrizione si aggira tra gli 80 – 90.000 voti). La scelta dei candidati avviene con la preferenza unica.

ASSEGNAZIONE DEI SEGGI AL SECONDO TURNO. E’ evidente la necessità di formare coalizioni, sulla base però non di contrattazioni preventive ma dei dati reali del primo turno. Alla coalizione vincente saranno assegnati 75 seggi, a quella perdente 25 (una proporzione in grado, appunto, di garantire la governabilità). Per il secondo turno sarebbe preferibile che i partiti apparentati formassero una sola lista che dovrebbe essere bloccata (senza preferenze) dove i singoli partiti sono sarebbe rappresentati in misura percentuale pari al risultato del primo turno. Naturalmente è legittimo immaginare (o sognare) la combinazione che si vuole al secondo turno (anche la presentazione di liste isolate o di mini – coalizioni: di fatto la minoranza sarebbe suddivisa anch’essa con il metodo d’Hondt).

* Franco Astengo – Savona, Politologo