“L’ottavo giorno”: ultimo atto per la “Trilogia dei numeri” del poeta cerialese Orazio Claveri

di Maurizio Pupi Bracali – Giunto al capitolo conclusivo della sua “Trilogia dei numeri” il poeta cerialese Orazio Claveri non ci sorprende. E per una volta non si tratta di un difetto. Dopo Sesto senso e Settima corda ecco questo nuovissimo L’ottavo giorno ultima pubblicazione autoprodotta dell’autore di Ceriale che prosegue armoniosamente la linea seguita dai due volumi precedenti creando un unicum di liriche dalle multiformi immagini e contenuti.

Claveri è un poeta di “sentimento”, nel senso non deteriore del termine ma bensì nella forma di un vero “sentire” che traspare schietto e sincero dai suoi testi di grande profondità di pensiero ma scevri da ogni intellettualismo e rivestiti da un’apparente semplicità che li porta ad essere comprensibili ed apprezzati sia al colto che all’inclita.

Come nelle due sillogi precedenti anche in L’ottavo giorno l’autore mette a disposizione del lettore uno specchio in cui riflettersi come riflette egli stesso sui grandi temi della vita e dell’uomo, nessuno escluso, sia che si tratti di un suicidio (un colore di morte non è un nuovo germoglio), o della delusione per un’amicizia perduta paragonata ad uno specchio frantumato.

La poesia di Orazio Claveri non è consolatoria né giocosa e si divide tra momenti di riflessione su quanto lo circonda e accade nel mondo e attorno a lui e ritratti di persone conosciute o immaginate, sia che si tratti del vecchio professore incapace di comprendere i sussulti emotivi del suo giovane allievo (il poeta stesso), dell’amico suicida di cui resta il rimpianto per non averne compreso a fondo il dramma, o di Elvio personaggio guida della gioventù dell’autore che attraverso un’accorata lirica gli rivolge le parole non dette e il sentimento non espresso quando sarebbe stato il momento giusto per farlo.

Ma la poesia di Claveri è anche una poesia di ricordo, di ritorno al passato, (bellissimo e significativo il rivedere la vecchia casa vissuta da bambino con occhi da adulto nei versi: le grandi ortensie ai lati della scala che oggi non è più immensa come allora), di confronto tra un poetico ieri: far l’amore sdraiati nel fieno, una lettera scritta di mano, una radio che annuncia la pace, il vapore prodotto dal treno, e un oggi più ombroso e arido vissuto tra televisoni che mostrano guerre, cellulari messaggianti e biberon con latte in polvere.

Infine le liriche di Claveri hanno una forte componente naturalistica spesso non disgiunta da sensazioni d’amore che con le sue descrizioni di paesaggi e di momenti di unione tra uomo e donna sembrano ridare all’autore la serenità perduta in poesie più malinconiche e intrise di un qualche pessimismo, rinfocolando la speranza in un futuro e in un mondo migliori: e oggi colti di sorpresa dal temporale non rinunciamo ad amare i nostri corpi sotto l’acqua battente mentre tutti corrono al riparo noi, purificati dall’acqua ancor di più ci amiamo, oppure di naturale bellezza ascetica: adoro l’immensità del mare, i suoi colori, le sue sfumature, gli abissi più profondi, il rumore delle onde.

Da segnalare inoltre tra le pagine di questo libro l’interessante prefazione con una critica attenta e accurata della poesia di Claveri da parte di Raimondo Venturiello del sito on line “Gocce di poesia”, e alcuni stralci e frammenti di importanti libri del passato che citano l’ottavo giorno come momento catartico in varie religioni e filosofie.

Parafrasando la fantasticità di Borges (un uomo decide di disegnare il mondo, impiega anni a tracciare linee e segni che contengano tutti gli elementi presenti sulla terra e a un certo punto si accorge che quel disegno riproduce il suo volto), si potrebbe affermare che i testi e le liriche di Orazio Claveri sono tutti frammenti e parti di egli stesso che attraverso quei bozzetti e quell’insieme di parole prive di sovrastrutture intellettualistiche non ha fatto altro che creare un autoritratto, un autoritratto letterario che riproduce fedelmente e soprattutto con sincerità, le fattezze del suo volto e della sua anima.

E tra le note più positive l’importanza di questa comunicazione al pubblico fatta con modestia, quasi in punta di piedi per non disturbare, con la coscienza del sé, senza pretese di grandi rivelazioni. Rivelazioni che in realtà ci sono poiché egli le ha scritte, con semplicità e un gran cuore, quelle rivelazioni quotidiane della vita di tanti, che molti di noi hanno solo pensato, perché in quell’autoritratto di uomo che pensa, che riflette e che si mette a nudo scrivendo i suoi ricordi e le sue idee, la maggior parte dei lettori non farà nessuna fatica a specchiarvisi e a identificarsi.

Un cespuglio di rose la mia vita, rami con foglie e spine rivolti verso il cielo, fiori in attesa di sbocciare, alcuni aperti nella forza intensamente profumati, altri ormai sgualciti, senza più speranze, invecchiati.