Political Essay – Pensiero debole e pensiero forte

di Franco Astengo – Le accuse di “passatismo” e di “residualità” hanno colpito, nel corso di questi ultimi anni, i sostenitori (tra i quali, molto immodestamente, mi reputo di appartenere pur non possedendo alcun titolo per prendere posizione politica) di una “qualità dell’agire politico” basata su di una idea di rapporto con le concrete contraddizioni sociali, privilegiando un corretto intreccio tra rappresentatività e governabilità (come descrive la Costituzione Repubblicana), basando l’azione sulla capacità organizzativa di partiti fondati sul radicamento di massa, l’agire collettivo, la democrazia interna, privilegiando un sistema elettorale proporzionale e un’idea “redistributiva” delle politiche pubbliche basata sull’intervento pubblico in economia ed il “welfare state” di tipo universalistico.

Tutte idee che vengono da lontano, appartengono alla storia e alla tradizione della sinistra europea (ricordiamoci sempre del livello europeo, facendo attenzione però a non fare dell’eurocentrismo una sorta di feticcio) nel quadro di un pensiero “forte” di stampo occidentale.

Idee che sono state abbandonate nel momento del passaggio al “pensiero debole”: un articolo di Corrado Ocone, apparso sul supplemento del Corriere della Sera, “La Lettura” uscito domenica 5 Febbraio u.s., affrontava, sotto il titolo “La Seconda Modernità” questo argomento, accompagnando significativamente proprio quel titolo con un “catenaccio” che così recitava:” per non appiattirsi su un razionalismo astratto l’Occidente deve fare i conti con la tradizione”.

“Razionalismo astratto” che, tanto per restare nel nostro ambito provinciale, appare la fotografia esatta del modo di muoversi di questo nuovo Governo, che ha sostituto quello personalistico-populista di destra che era rimasto in carica dal 2008 agli ultimi mesi del 2011.

Nell’articolo appena citato si cerca di ricostruire, molto efficacemente, questo passaggio epocale nel pensiero teorico, partendo dal rapporto stilato da Francois Lyotard nel 1979 per conto dell’Unesco (“La condizione postmoderna”), laddove si sosteneva come fossero giunte al capolinea le metanarrazioni che nella modernità avevano cercato di dare un senso unitario alla realtà: l’illuminismo, l’idealismo, il marxismo.

Al loro posto sarebbe subentrato, appunto sulla linea del post-moderno, un pensiero disperso e molecolare, nell’idea che questo avrebbe potuto essere fonte di emancipazione e di libertà.

Jurgen Habermas si accorse subito della china che avrebbero preso le cose e avanzò una critica serrata al “pensiero debole” individuandone la strada che era quella della superficialità culturale e del disarmo etico.

Quanto abbia pesato il prevalere di questo “pensiero debole” post-moderno sulla realtà politica, in particolare all’interno del “caso italiano” è sotto gli occhi di tutti e non vale la pena di soffermarsi più di tanto: soprattutto a soffrirne è stato il sistema dei partiti trasformato in modo da aprire al strada alla fase dei “partiti elettorali personali” , sui quali si è basata (pur con qualche intervallo) il regime populista-presidenzialista che, come abbiamo già ricordato ha governato l’Italia per un lungo periodo tra il 2001 ed il 2011 (otto anni complessivi di governo di questo tipo di destra).

Anche a sinistra, però, il “pensiero debole” ha sfondato sulla qualità dell’agire politico dei soggetti schierati da quella parte all’interno del sistema politico italiano, dando origine, sia a un tipo di ibridazione della soggettività che appare del tutto paralizzante sul piano pratico, sia a forme definibili “tout court” di partiti personali oppure partiti di combinare pasticci intorno al tema della delicato della credibilità al riguardo della correttezza dei loro principali esponenti, come sta capitando in questi giorni con uno scandalo (davvero “opertet scandala eveniant”) che ha messo in luce insopportabili disequilibri del sistema, proprio sul piano del finanziamento della politica: disequilibri che rappresentano il vero punto focale su cui si è verificato l’ormai pressochè totalmente consumato rapporto con la realtà sociale (indice di gradimento dei partiti ridotto alla miseria dell’8%).

L’articolo di Ocone conclude individuando in una ripresa del “pensiero forte” un filone di razionalità concreta e di realismo storicista attento alle forme della tradizioni e quindi alla gradualità riformista di ogni progresso.

Le due modernità non si succedono, ma si svolgono insieme e, secondo l’autore, la seconda , quella del moderno “pensiero forte” deve essere favorita proprio per via dell’esercizio di un “dovere morale”.

Condivido questo tipo di impostazione e credo proprio che da lì si dovrebbe ripartire quando si pensa al “ricominciamo” a sinistra.

In questo senso mi permetto di sottoporre un passaggio che avevo elaborato qualche mese fa nell’idea che al congresso di SeL (cui non sono iscritto)potesse essere possibile presentare, nel pieno rispetto dell’articolo 49 della Costituzione, una mozione alternativa a quella unanimisticamente adottata: questa possibilità non era prevista, anzi era vietata, dal Regolamento e non se ne fece nulla.

Proprio sulla base delle considerazioni dell’importante articolo che appena citato e della condizione complessiva di riaprire un ragionamento a sinistra su “forme e qualità dell’agire politico” mi permetto allora di riproporre, in chiusura, alcuni passaggi di quel testo che credo possano essere considerati di una qualche attualità e prospettiva.

“Il primo punto, ponendoci sul terreno di un possibile schema programmatico, è quello del passaggio dal “pensiero debole” al “pensiero forte”.

Serve (siamo coscienti che, per molti, ciò che stiamo per affermare possa apparire come una bestemmia) una nuova concezione dell’ideologia, da cui non scaturisca né una teoria della dittatura, né una teoria contrattualistica della democrazia, ritornando all’idea che la politica non debba avere come “oggetto” soltanto il potere.

Una ideologia che proponga, invece, una critica della concezione della politica quale mera sfera della mediazione e della rappresentatività con una interpretazione attiva del rapporto tra struttura e sovrastruttura (profondamente modificatosi, in questi ultimi tempi, soprattutto a causa dell’innovazione tecnologica sul terreno della velocizzazione dell’informazione e, di conseguenza, dell’antico meccanismo della globalizzazione economica, culturale, sociale).

Deve essere introdotta, a questo proposito, una nuova concezione della soggettività “non presupposta, ma posta; non individuale ma collettiva”, puntando alla costruzione di un “blocco storico”, da realizzarsi proprio attraverso le categorie d’uso della politica (dizione riunificata, a livello europeo, delle tre versioni anglosassoni di policy, politcs, polity), allo scopo di esprimere l’unità di un processo storico reale, quale soluzione non speculativa del rapporto di implicazione tra economia, politica e storia realizzando così il momento egemonico della volontà politica.

Questo ritorno ad un “pensiero forte” non può non tradursi, nello specifico dell’attualità del “caso italiano” con il porsi del tutto controcorrente al modello “maggioritario-presidenzialistico”, anche al riguardo della stessa forma dell’agire politico, introdotto surrettiziamente nel nostro sistema, a Costituzione invariata, facendo valere l’idea di una “costituzione materiale” da rispettare in nome di una presunta volontà popolare”.

* Franco Astengo – Savona, politologo