di Franco Astengo – Coraggio “Manifesto”!: non si tratta però, semplicisticamente, di far coraggio alla redazione dello storico giornale della sinistra critica, nel momento difficile del rischio di definitiva chiusura.

A costo di parlar male di Garibaldi, ma credo che alla mia età e avendo percorso un poco di storia nella sinistra italiana proprio all’interno dell’area politica cui per molti anni anche il Manifesto ha fatto riferimento, di potermelo permettere.

Il “coraggio” va inteso, infatti, anche in un’altra direzione: la redazione del Manifesto, deve avere il coraggio – appunto – di uscire dagli schemi, individuare gli elementi precisi di una crisi che rischia di diventare endemica e che si collega direttamente alla pressoché totale sparizione di una sinistra, progettuale e alternativa, nel panorama politico di questo disgraziato Paese.

E’ evidente che il “regime” del pensiero unico punta a distruggere, anche dal punto di vista dell’informazione, tutte le voci fuori dal coro, impostando uno schema di vero e proprio “darwinismo sociale” anche in questo settore, nel quale abbiamo avuto una vera e propria ecatombe di case editrici, riviste, giornali: anche per via, anche da parte nostra, di un acritico cedimento ai nuovi strumenti tecnologici, intesi quale nuova frontiera senza alternativa, non riuscendo a realizzare una fase di transizione nella quale nuovi e vecchi strumenti convivessero assieme per un periodo ragionevole.

Non mi attardo, però, in tecnicalità: il punto, come sempre, è politico.

Il “Manifesto” nasce, prima rivista e poi quotidiano, come “progetto politico” (non ricostruisco qui la storia, un lavoro già fatto da più parti e credo ben conosciuto: basterà la frase “l’eresia da sinistra del più grande partito Comunista d’Occidente).

E come “progetto politico” il Manifesto ha, in una qualche misura, convissuto con l’area della sinistra comunista fin quando questa è stata in vita.

Scomparsa quell’area (Arco 1990?, difficile considerare il PRC erede della storia della sinistra comunista in Italia) il Manifesto ha mutato funzione: per un certo periodo è stata voce di una richiesta di rigoroso ritorno alla Democrazia della Costituzione (atto politico fondamentale la convocazione della manifestazione del 25 Aprile 1994), poi sempre più slegato dall’idea di un progetto complessivo collegandosi invece, via, via a un’idea di tipo movimentistico, attratta dall’idea della” rete” (quante battute d’arresto sul piano dell’intreccio con una possibile prospettiva politica: pensiamo all’assemblea con Asor Rosa del 2005, quella del 15% di voti) comprese le ultime iniziative dal tema dell’acqua pubblica, a quello dei “beni comuni” temi sacrosanti trattati però in maniera che mi permetto di definire inadeguata, proprio dal punto di vista della diffusione della cultura politica), fino a dar credito a un rinnovato “Partito dei Sindaci e dei Governatori”.

Insomma, crisi economiche ricorrenti, calo di vendite, e tutto il resto avranno pur avuto una ragione.

Mentre la deriva delle forze politiche della sinistra erroneamente giudicata come “radicale” appariva inarrestabile e i dirigenti infilavano una perla dietro l’altra, fino a riuscire nel capolavoro di scomparire dal Parlamento (una responsabilità gravissima, che nessuno pare avvertire fino in fondo soprattutto perché ha lasciato privi di rappresentanza politica centinaia di migliaia di militanti) Il “Manifesto” non ha ritenuto opportuno condurre a fondo una battaglia sul terreno più propriamente politico, presentando un proprio progetto, e accondiscendo appunto a linee movimentistiche e personalistiche. Tanto è vero che sul tema della soggettività politica è stato quasi impossibile, negli ultimi tempi, intervenire sulle colonne del quotidiano.

Oggi, questa crisi, può rappresentare un’occasione di ripensamento: non basteranno le sottoscrizioni e le cene, non sarà sufficiente il ripristino dei fondi dell’editoria dato e non concesso che ciò possa essere ipotizzato.

L’occasione deve essere quella di chiamare tutta la sinistra a discutere della propria sconfitta, della timidezza con la quale affronta questa crisi terribile, del perché non riesce a schierarsi, in nome dei diritti dei lavoratori, delle sacrosante ragioni di classe, di un’ipotesi di società diversa, nettamente per un’alternativa a questo sistema politico.

L’alternativa poi può essere graduata nelle diverse forme della “politica del possibile” :personalmente, figuratevi un po’, ritengo sia necessario urgentemente recuperare termini di progetto attorno ad un nuovo “compromesso socialdemocratico”, quindi nessuno si spaventi, massimo moderatismo. Massimo moderatismo accompagnato da grande radicalità nei principi e nelle prospettive.

“Il Manifesto” se trova il coraggio di rompere lo schema del fortino assediato, chiamando quel che c’è di sinistra nel nostro paese attorno ad un’idea di nuovo progetto politico, chiamandosi a esserne la voce quotidiana e il soggetto comunicativo di riferimento potrà trovare nuova linfa, nuova vita, nuova storia dopo quella scritta dalle grandi madri e padri fondatori.

Diversamente, con le sottoscrizioni e le cene, non si riuscirà neppure a salvare il salvabile.

Coraggio, Manifesto!!

*  Franco Astengo – Savona, politologo