di Maurizio Pupi Bracali – Un romanzo agghiacciante quest’esordio di Paride Marseglia, cerialese trapiantato a Milano, che si colloca nella tradizione delle saghe familiari che in letteratura si è già espressa in capitoli rimasti nella storia attraverso autori quali Thomas Mann, Dostojievskj, o il nostro Alberto Moravia.

Un romanzo agghiacciante e intriso di tristezza infinita dove il Male è il signore assoluto e invincibile che stermina senza pietà i protagonisti di una storia aberrante senza il minimo barlume di speranza e alcunché di consolatorio.

La facoltosa famiglia Valdarme figlia di un’attualissima e Berlusconiana “Milano bene” perde il suo capostipite, il patriarca che ne reggeva l’impero economico, e alla sua morte, l’unica del romanzo per cause naturali, si scatenano le invidie, le gelosie e le lotte per entrare in possesso dell’eredità.

Niente di nuovo sotto il sole, ma se l’autore ha voluto mettere in scena il peggio che potrebbe scaturire da una situazione del genere c’è riuscito benissimo; in meno di centocinquanta pagine e nei pochi anni in cui si svolge la storia, i familiari delle tre generazioni Valdarme che convivono in questa vicenda si sbranano e si dilaniano tra loro come belve più assetate di denaro che di sangue, sangue che però scorre a fiumi in questa terribile saga dove si fa fatica a credere che la cattiveria e la malignità possano giungere a tali livelli di orrore, dove i sorrisi sono solo ghigni satanici e non esiste un solo personaggio che abbia alcunché di positivo.

Omicidi, suicidi, rapporti incestuosi, prostituzione, furti e ladrocinii sono le azioni che costellano le pagine di questo libro fino a un finale drammatico come tutta la storia dove a farla franca e a sopravvivere gaudenti sono solo i potenti della politica e dell’economia italiana che, benché a latere dell’intrinseca vicenda, osservano compiaciuti e dominano dall’alto lo sgretolarsi di piccoli uomini (e donne) avidi di denaro, violenti e incapaci d’amore, di amicizie, di pietà, di compassione e di gesti di pace.

L’autore, descrivendo l’immenso cinismo e l’implacabile e quasi incredibile malignità dei protagonisti, ha voluto estremizzare al massimo il concetto lanciando un segnale forte, uno “stiamo attenti” a quello che potrebbe succedere se nella vita degli uomini si perdessero definitivamente quei basilari valori spirituali sostituiti, purtroppo, con quelli materiali dove il denaro è soltanto un sinonimo di male.

Un romanzo di difficile collocazione, con spunti noir e addirittura pulp se non fosse che lo stile di scrittura, lineare e morbido, non sorregge gli abituali ritmi dei generi citati, e dove la veniale sovrastruttura descrittiva delle prime pagine viene compensata da una seconda metà del libro più agile e veloce che spinge piacevolmente il lettore al “chissà come va a finire”.

Tra i difetti di questa comunque ottima lettura, il commissario Santambrogio, bello e interessante personaggio che, purtroppo solamente abbozzato, avrebbe meritato più spazio e una veste editoriale discutibile con un’impaginazione troppo fitta, con pochissimi ‘a capo’ e pochi spazi bianchi, che rende meno agevole lo svolgersi di questa intrigante storia.