Oggi ho deciso di ritornare a volare, dopo l’incidente che mi aveva costretto a fare solo brevi giri intorno alla roccia, dove ho il nido che chiamo casa.

Certo, chiamare ‘incidente’ la pallottola di un bracconiere, forse non è appropriato…

Cacciare dove sai che ci sono fucili e trappole è una sfida stupida.

Una sfida stupida, ma piena di fascino. Irresistibile.

Una sfida i cui risultati sono imprevedibili.

Mille volte riesci a scampare, ma il conto diventa sempre più salato, il destino attende al varco, al primo errore.

Aspetta, paziente, che prima o poi gli si paghi il conto.

Ha tutto il tempo che vuole, lui.

Avevo tutte le probabilità contro di me.

E poi una piccola palla di fuoco da un cespuglio, diritta in mezzo al petto, ha spezzato il mio volo-

Ce l’ho ancora dentro, brucia ancora un poco, ma ormai la ferita è quasi chiusa, la mia carne l’ha inglobata, ora fa parte di me.

Solo un pezzo di piombo, piombo morto in mezzo a carne viva, e sangue. Oramai innocuo.

Ho pensato molto in questi giorni, e mi sono detto che una pallottola non è, davvero, tanto diversa da qualsiasi altra esperienza.

Ci sono pallottole che spaventano, che sfiorano.

Altre che feriscono, che uccidono.

Proprio come altre esperienze…

Ma ora è tempo di tornare a volare, in alto, un’aquila costretta al nido è patetica.

Devo tornare a volare e cacciare, ho fame, ho bisogno di spazio… ho nostalgia di ritornare a guardare il mondo dall’alto.

Così esco cauto dal nido, ed offro le ali al sole e al vento.

La ferita mi fa ancora male ma ecco, forse… se non tendo troppo i pettorali…

Il segreto è questo: veleggiare di più.

Ma sì, è un dolore sopportabile. Comunque, sempre meglio che morire di fame su una roccia, in attesa di essere individuato dai corvi.

L’ho visto succedere, è straziante… hanno l’intelligenza del branco.

Ti vedono da lontano, poi cominciano a chiamarsi. Ali nere chiamano altre ali nere, occhi neri ammiccano ad altri occhi neri, sino ad essere una nera nuvola cattiva.

Si radunano e poi, quando capiscono che sei troppo debole per lottare, ti attaccano.

Uno di loro punta agli occhi, e tu devi proteggerli, ad ogni costo…

Nel frattempo gli altri ti trafiggono, ti strappano la carne.

I loro rostri gialli si fanno rossi di sangue e tu non sai davvero se è il tuo sangue o il loro, e ti giri, disperato, affannato, spaventato, ti difendi, tra becchi crudeli proprio perchè non abbastanza affilati, artigli crudeli proprio perchè non abbastanza taglienti.

Ma loro sono molti, loro sono morte, loro sono l’anticamera dell’inferno.

Ma poi come posso condannarli, io che bevo sangue, io che non ho mai avuto pietà, nemmeno per me stesso?

Si limitano a sopravvivere, proprio come talvolta faccio io, forse la differenza è che io uccido più velocemente, più pietosamente…

Sono un’aquila, non sono un corvo.

No, io non sono come loro.

Io non sopravvivo.

Io vivo.

Io non voglio morire così, divorato dai corvi; meglio, mille volte meglio lasciarsi precipitare su una roccia, o cercare la pallottola di un bracconiere, nel pieno dell’estasi.

Nell’ assoluta felicità, quella che ha l’odore e il colore del cielo di notte, quella che è quasi dolore, quando i tuoi conti con il mondo sono pari.

Non sentirsi in debito né in credito, il cuore gonfio di gioia, come fossi un’anima appena formata, che guarda il mondo con occhi nuovi e pieni di meraviglia. Ho deciso, sarà così che morirò, ma non sarà oggi.

Oggi è per volare. Domani forse, ma non oggi.

Ecco, distendo le ali… così non fa poi tanto male… cerco l’equilibrio, noi aquile non siamo fatte per camminare, né per stare ferme in piedi sulla terra.

Siamo fatte per il cielo, per volare tra le nuvole, per scendere come fulmini, per guardare con disprezzo, per essere guardate con paura.

Che bello, una corrente calda mi saluta accarezzandomi le remiganti, facendomi vibrare le piume…

Ali potenti, una macchina perfetta, maestosa, padrona dell’aria, e padrona della vita, pura potenza in atto…

E allora lo devo compiere quest’atto, devo volare.

Ora.

Dio che bello riempire i polmoni d’aria. Dio com’è bello il cielo…

Ecco, due passi e sono sul ciglio… che mi prende, forse ho paura?

Ma no, no, non ho paura, sono solo anchilosato… mi distendo, riempio il petto, cerco l’equilibrio, per raccogliere la volontà e saltare giù, nel vuoto.

Vertigine, cado, ma il vento è mio amico, e subito dopo ritorno padrone del cielo.

Certo che fa ancora male quando provo a fare quel movimento…

Ma ecco, posso adattare il mio volo, in attesa di guarire completamente. In attesa di trovare un modo di vivere con me stesso come sono ora.

Non sarà difficile, imparerò a prendere le distanze in un modo diverso, imparerò a valutare le prede con un criterio adatto, in attesa di guarire completamente, se mai guarirò.

Forse il rallentamento forzato mi insegnerà a guardare le cose in un modo nuovo. Imparerò.

Non è questo forse il nostro compito?

Imparare, e poi praticare, non dimenticare, fare esperienza… aspettare, vivendo, l’ultima notte.

Vivere, aspettando l’ultima scelta.

da Flatlandia: la rubrica Corsara di Maurizio Natoli