Political Essay – La Democrazia Parlamentare

di Fanco Astengo – La decisione del governo Monti di presentare, sulla spinosissima materia della legislazione riguardante il lavoro, un disegno di legge non può che essere accolta favorevolmente come un timido segnale di rispetto verso la democrazia parlamentare.

Una democrazia parlamentare che, in questi anni, è stata vilipesa e maltrattata da tutti i governi, di destra come di sinistra, in nome dell’avanzarsi di una strana “costituzione materiale” fondata sul progressivo affermarsi di una sorta di “presidenzialismo”, di cui il primo Presidente proveniente dal PCI si sta dimostrando, paradossalmente (ma non troppo) l’epigono più diligente (riassumiamo così tutto il complesso fenomeno evidenziatosi nel corso di questi anni, tra trasformazione del sistema dei partiti, maggioritario, personalizzazione, affermazione della governabilità quale unico scopo dell’agire politico, populismo).

L’occasione è dunque buona per ricordare come l’idea di Repubblica Parlamentare affondi le sue radici nella realtà della Costituzione nata dalla Resistenza e mai tale formula, usata in questo preciso contesto non può essere considerata, come molti sostengono, una pura annotazione retorica.

La scelta della Repubblica Parlamentare che la nostra Carta Fondamentale racchiude mirabilmente nel suo articolato, dall’articolo 55 all’articolo 69 della Parte Seconda Titolo I (non a caso il Titolo II parla del Presidente della Repubblica ed il III del Governo), non fu una scelta semplice all’interno della battaglia politica condotta, in precedenza e durante i lavori dell’Assemblea Costituente: fu sconfitta, infatti, la linea portata avanti da Benedetto Croce del “fascismo come parentesi” e di un ritorno, sostanzialmente, all’Italia del notabilato liberale protagonista dall’Unità fino alla prima guerra mondiale.

Quella linea fu sconfitta soprattutto perché era entrato in scena un nuovo soggetto: il partito di massa.

I partiti di massa, già ricostituitisi nella fase declinante del fascismo ed organizzati stabilmente fra il 25 Luglio e l’8 Settembre 1943, erano stati in grado di formare immediatamente il CLN assumendo di fatto e di diritto (come sarà anche a livello governativo subito dopo la Liberazione di Roma) la direzione della Lotta di Liberazione.

Ed è stato sulla natura e la realtà del partiti di massa che si è affermata la Repubblica e si è costruito il grande passaggio della ricostruzione del dopoguerra.

Fin da subito si registrò la piena affermazione di questo indispensabile soggetto: si pensi che già alle elezioni per l’Assemblea Costituente i tre grandi partiti di massa (DC,PCI,PSIUP) avevano raccolto oltre il 70% dei voti validi (con una partecipazione elettorale poco al di sotto del 90%).

Vale la pena di ricordare a tutti ciò che sul piano teorico i partiti dovrebbero rappresentare rispetto alla società (leggendo questo elenco sarà facile per tutti distinguere tra la teoria e la drammatica prassi attuale…).

I partiti dovrebbero avere il compito della strutturazione della domanda politica: i partiti trasmettono la domanda politica della società, semplificando la complessità degli interessi individuali. Un partito riunisce persone che condividono valori simili e, rappresenta, a differenza di un gruppo di pressione, un interesse generale.

I partiti dovrebbero avere il compito della strutturazione del voto, facendo sentire la voce degli elettori e dando stabilità ed unidirezionalità al comportamento dei votanti ( è evidente, in questo passaggio, una critica radicale al meccanismo delle “primarie all’italiana” che a tutto servono meno che a contribuire ad un concreto orientamento dell’elettore).

I partiti dovrebbero avere il compito della socializzazione politica. I partiti fanno dell’uomo un animale politico, lo integrano in un gruppo e, focalizzando l’attenzione su tematiche rilevanti per la società, permettono ai cittadini di esprimere la loro opinione in merito.

I partiti dovrebbero realizzare il reclutamento e la selezione dei governanti: nella maggior parte delle democrazia moderne i governi sono formati da statisti che hanno iniziato la loro carriera come membri di un partito.

I partiti dovrebbero consentire ai governati di controllare i governanti. In una democrazia rappresentativa (come quella italiana così come disegnata dalla Costituzione) i partiti sono strumenti di controllo sul governo e canali di collegamento fra quest’ultimo e i cittadini.

I partiti dovrebbero concorrere alla formazione delle politiche pubbliche. Un partito quando si presenta alle elezioni porta con sé un programma, sulla base del quale raccoglie voti e, in caso di vittoria, l’obiettivo primo è quello di darvi attuazione.

Il tutto riassunto dalla classica definizione del prof. Sartori: “ un partito è qualsiasi gruppo politico identificato da un’etichetta ufficiale che si presenta alle elezioni, ed è capace di collocare, attraverso le elezioni i suoi candidati alle cariche pubbliche”.

Insomma, da queste definizioni teoriche alla realtà italiana corrono anni-luce e, siccome, su queste definizioni è fondata la realtà concreta della Costituzione, ci troviamo, nei fatti, in un regime di eccezionalità il cui superamento va reclamato con grande forza chiedendo, davvero, il ritorno pieno alla Repubblica Parlamentare.

Non dimentichiamo, infine, due elementi:

1)Il Parlamento Italiano è frutto della peggiore legge elettorale della storia delle democrazie moderne: un parlamento di nominati che non dovrebbe avere alcuna facoltà di intervento sulle grandi questioni del Paese. In questo è apertamente violato anche, il del resto sempre poco applicato, articolo 49 della Costituzione.Il mutamento della legge elettorale in senso proporzionale dovrebbe essere l’unico atto serio da compiere immediatamente dando voce all’elettorato, assieme ad una drastica modifica dei sistemi di finanziamento della politica, trasformatasi oggi (vedi caso Lusi) nel soggetto agente dell’eterno intreccio tra “questione morale e questione politica”;

2)Va mantenuto altissimo il livello della mobilitazione sociale, in particolare da parte del mondo del lavoro, i cui componenti sono stati anch’essi, in questi vent’anni, tartassati e vilipesi come la Repubblica Parlamentare.

* Franco Astengo – Savona, politologo

2 Commenti

  1. LA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE E’ MORTA.
    Esiste soltanto la dittatura della finanza, in buona parte tedesca.
    Qui abbiamo soltanto i sodali e gli esecutori ma i mandanti sanno bene come far morire una democrazia parlamentare. Nel nostro caso è stato facile: un allegro e attempato donnaiolo è caduto nella trappola del gossip ed è stato prontamente sostuituito da un pacato signore occhialuto che infonde(va) molta fiducia.

  2. Non basta un misero atto di democrqazia come il disegno di legge al posto del decreto legge ( come peraltro espressamente richiesto dalla BCE nella lettina a firma Trichet/Draghi del 5 agosto 2011 :”Vista la gravità dell’attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che tutte le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese il prima possibile per decreto legge …”)!

    Le riporto il link per poter rileggere quanta arretratezza democratica è contenuta in quella letytera, inequivocabile espressione dei poteri finanziari che intendono governare l’Europa: http://www.corriere.it/economia/11_settembre_29/trichet_draghi_italiano_405e2be2-ea59-11e0-ae06-4da866778017.shtml?fr=correlati

    Le sue saggie osservazioni circa la definizione teorica dei partiti politici avanti a tale tracotante e irridente prova di forza, purtoppo per lei, per me e per chi ancora crede nella democrazia, relegano in un angolo ogni buon proposito per poter accettare ancora un governo di siffatto finto tecnicismo.
    Il pollice non può che essere avverso a chi stà utilizzando una nomina di carattere tecnocratico la quale dovrebbe essere impiegata per intraprendere la strada della rinascita e traghettarci fuori dalla crisi ASTENENDOSI da iniziative che afferiscono la struttura costotuzionale del Paese, questo, affar eben più serio e -mi consenta- riservato a governi che godono di una REALE condivisione del POPOLO. Il popolo che mi preme ricordare è l’unico destinatario di ogni azione di governo e il fruitore finale di quello che si chiama politica ma che oggi ho vergogna a definire tale.
    Grazie dell’attenzione e della Sua autorevole lectio magistralis.

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