di Alfredo Sgarlato – Anni fa, quando morì Luciano Luberti detto il boia di Albenga, la tv trasmise un servizio su di lui. Nel vederlo mi sembrò di riconoscere in quell’anziano signore dai lunghi capelli bianchi un bizzarro personaggio che frequentava la mensa universitaria nella Padova di vent’anni fa. Si diceva fosse un ex professore che prendeva l’ennesima laurea; una volta un’amica comune lo salutò e fece le presentazioni. Mi sembrava però impossibile che un criminale di guerra girasse libero, per di più in mezzo a studenti notoriamente di idee opposte, così conclusi che fosse solo una forte somiglianza.

Ma la visione di un nuovo documentario molto più approfondito, trasmesso dalla benemerita La7 (benemerita fino al licenziamento di Luttazzi) mi tolse ogni dubbio.

Rammentiamo, per chi non lo sapesse, chi era Luberti. Nato a Roma nel 1921, considerava il fascismo troppo morbido per cui, nel 1943, si arruolò nell’esercito tedesco. Mandato a combattere ad Alassio e poi ad Albenga, si distinse per la violenza e il sadismo dei suoi atti. Ricordiamo, tra gli altri, l’incursione in casa del partigiano Bruno Schivo. Non avendolo trovato si sfogò sui familiari del ragazzo, picchiando la madre e rendendola sorda, violentando la sorellina di dodici anni, violentando la fidanzata con una bottiglia e, infine, legando il padre alla motoper trascinarlo fino alla caserma. Mi spiace insistere su questi particolari degni di “porta a porta” o “matrix” ma in epoca di revisionismo trionfante è giusto conoscerli.

Dopo la guerra fu condannato per sessanta omicidi e stupri, ma lui se ne attribuiva trecento. Nel 1951 venne amnistiato e trovò lavoro come grafico in una cooperativa legata all’Azione Cattolica. Aprì anche una piccola casa editrice con cui pubblicava libri inneggianti alle SS, alla violenza e al razzismo. Nel dicembre 1969 tale Arnaldo Calzolari venne trovato morto in un pozzo. La madre di Calzolari denunciò Luberti per omicidio, con questo movente: il figlio era legato all’eversione nera e voleva dare informazioni sulla strage di Piazza Fontana. La denuncia non ebbe seguito. Nota: il pozzo era profondo un metro e quasi asciutto e la vittima era un subacqueo e un ottimo atleta.

Dopo qualche mese Luberti si autodenunciò dell’omicidio della compagna Carla Gruber, una donna che per lui aveva abbandonato il marito e con cui pare avesse una relazione sadomaso. Non si conosce il movente, forse lei lo tradiva o voleva lasciarlo. La salma venne trovata semi decomposta e circondata di fiori. Pare che il boia l’avesse vegliata per tre mesi! Il processo durò alcuni anni. Nel ’74 Luberti rimase alcuni mesi latitante. Si dice l’avesse nascosto il boss camorrista Cutolo, grazie ai buoni uffici del comune amico Junio Valerio Borghese, l’autore del tentato golpe del ’70. Dichiarato incapace di intendere e di volere, grazie alla perizia psichiatrica del criminologo Aldo Semerari (già nel collegio difensivo di Freda e Ventura e poi di Izzo e Ghira, i massacratori del Circeo, e gestore di seminari politici a cui partecipavano Giusta Fioravanti, membri della banda della Magliana e militanti dell’MSI) viene condannato a cinque anni di manicomio criminale.

Il 3 Agosto 1980 fuggì dal manicomio. Catturato qualche giorno dopo disse che se ne era andato perché aveva da fare; da notare la data: forse è solo una coincidenza, però in quei giorni un militante neofascista, Mangiameli, che voleva opporsi alla strage alla stazione di Bologna, fu assassinato. Nel 1981 era un uomo libero. Andò a vivere a Padova dove si laureò in scienze politiche, discutendo con Sabino Acquaviva una tesi sui manicomi criminali. Nessuno a Padova sapeva chi fosse, sebbene non avesse fatto nulla per nasconderlo. Aveva persino il numero sull’elenco.

Mi ispirava addirittura simpatia quel vecchietto stravagante… Mi chiedo oggi, avessimo saputo chi era, come ci saremmo comportati nei suoi confronti. Ho fatto questa domanda agli amici dei tempi dell’università una sera che ci siamo ritrovati a cena. Ma l’ora era tarda e le molte bottiglie già vuote; ho avuto solo una risposta: “gli avremmo pisciato addosso”. Preciso che Luttazzi non c’era.

(* Per saperne di più: Gianfranco Simone, Il boia di Albenga- editore Mursia)