di Alfredo Sgarlato – Il prossimo 8 maggio compiono gli anni mio fratello, Moebius e Thomas Pynchon. Poiché di Moebius ho già parlato e mio fratello lo conoscono tutti parlerò di Pynchon che non lo conosce nessuno, sebbene molti lo considerino il massimo scrittore vivente. Non lo conosce nessuno non per modo di dire: a parte la moglie, che è anche il suo agente, e gli amici d’infanzia, Pynchon (nato a Glen Cove, Long Island, 1937) da quando ha intrapreso la carriera letteraria, non l’ha mai visto nessuno. Esiste solo una sua foto, quella del libretto universitario (dove appare somigliante all’ex tennista Pete Sampras), non ha mai rilasciato interviste, non ha mai ritirato un premio (una volta ha mandato un amico di professione pagliaccio a ritirarne uno al suo posto). È invece apparso in una puntata dei Simpson, ma raffigurato con un sacchetto in testa.

Su Pynchon circolano molte leggende. Per esempio che fosse uno pseudonimo di Salinger, altro grande isolato, teoria priva di alcun fondamento. Quando un quotidiano locale di un paesino del West iniziò a pubblicare una serie di esilaranti lettere di una sedicente contessa russa qualcuno ipotizzò che l’autore fosse Pynchon che si affrettò a inviare smentita pur dichiarandosi lusingato.

Pynchon ha scritto relativamente poco, cinque racconti tra il 1958 e il 1964 e sette romanzi. I racconti, raccolti nell’antologia intitolata “Un lento apprendistato” e poi ripubblicata col titolo “Entropia”, come il più bello dei cinque, si possono considerare un incrocio tra Kerouac e il fantastico quotidiano di riviste pulp come “Amazing stories”.

I romanzi è impossibile definirli. Forse è proprio per Pynchon che si è coniato il termine “postmoderno”*, per opere che annullano le differenze tra letteratura alta e bassa e tra i vari generi. Le trame sono complicatissime. I personaggi sono centinaia. Pynchon segue la tecnica delle soap opera: narra un intreccio e quando arriva al culmine lo lascia per un altro. A volte alcuni personaggi sono abbandonati, come nei serial tv. I romanzi sono pieni di citazioni storiche, teorie scientifiche, canzoni, tutto a volte vero a volte inventato. Capolavoro di Pynchon è “L’arcobaleno della gravità”(1972), citato nelle loro canzoni da molti musicisti da Peter Gabriel ai Nirvana, storia di un gruppo di agenti segreti dotati di strani facoltà medianiche di cui essi stessi non sono ben coscienti, che agiscono tra Londra e Berlino durante la seconda guerra mondiale.

Pynchon oscilla sempre tra l’omaggio e la parodia, come nel recente “Vizio di forma” (2009) noir alla Chandler ambientato nella California dei primi ’70, dove però i personaggi invece che ubriaconi sono strafumati. O “L’incanto del lotto 49”(1967), storia di una ragazza che consegnando lettere scopre un linguaggio segreto e quindi che la storia non è altro che la lotta tra due società segrete (ma sarà realtà o la sua immaginazione?). Vi ricorda qualcosa? Esatto, “Il pendolo di Foucault” di Eco, non penso sia un caso, visto che il romanzo di Eco si svolge tra il 1968 e il 1984, visti come date chiave per capire la storia moderna, come fa Pynchon nell’altro suo capolavoro “Vineland” (1990). Un momento, i due romanzi sono stati scritti contemporaneamente, qualcosa non quadra…

Pynchon in America, è suo malgrado un icona pop. In Italia è quasi sconosciuto. Negli anni ’60 Fernanda Pivano (e chi se no?) consigliò la pubblicazione del primo romanzo di Pynchon “V”(1961), bizzarra parafrasi del “Don Chisciotte” (come il bellissimo “Mason & Dixon”-1996- biografia inventata di due geografi realmente esistiti, che per altri versi è pure l’“Odissea”). Non vendette una copia, ma veramente, non è una frase fatta, e andò al macero. Pynchon fu riscoperto nel 1991, quando venne pubblicato “Vineland”(1990), il suo maggior successo in Italia. Intendiamoci, tremila copie contro le duemila degli altri.

Oggettivamente Pynchon non è uno scrittore di facile lettura: i suoi libri, escluso “L’incanto…” viaggiano sulle seicento/mille pagine; le trame non sono, volutamente, facili da seguire, lo stile delle frasi, pur elegante, è complesso, con presenza di linguaggi tecnici e gergali. Il registro delle storie poi passa dalla realtà reinventata al fantastico, per dire, in “Contro il giorno” (2007), storia della vendetta di quattro fratelli anarchici contro il capitalista che ha mandato loro padre in rovina, tra i personaggi appaiono Groucho Marx e un cane parlante che mangia solo aragoste. Insomma, al lettore Pynchon lancia una sfida veramente difficile. Se l’accetterete passerete alcuni dei momenti più belli nella vostra carriera di bibliofili.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato