Political Essay – LA CRISI PRIMA DELL’EURO

di Franco Astengo – Le colonne del “Corriere della Sera” hanno ospitato, Giovedì 17 Maggio, un importante intervento della professoressa Lucrezia Reichlin che ha affrontato alcuni aspetti specifici della crisi finanziaria ed economica in atto.

L’elemento di particolare interesse che, a mio giudizio, è contenuto in quel testo riguarda l’analisi relativa al rapporto di crescita del PIL tra USA, Italia, Germania e Zona Euro, nel corso degli ultimi quarant’anni.

Un’analisi che dimostra come, negli anni’70 del secolo scorso Germania, Italia e la media dei “dodici” avevano livelli di reddito simili tra loro ma erano Paesi più poveri degli Stati Uniti.

Fino a circa il 1995 la Germania e l’Italia si erano poi mosse insieme, ma da quel punto, mentre la media dell’eurozona e della Germania continuavano nella loro traiettoria storica, l’Italia se ne discostava.

La crescita diminuiva e questo aveva immediatamente un effetto sul livello del reddito degli italiani.

Era nato da qui, a giudizio della professoressa Reichlin, il grande rallentamento italiano: la moneta unica non lo ha arrestato, né peggiorato.

Grazie a questa finestra più ampia si può così osservare che in Italia la bassa crescita viene da lontano ed è questo che rende il nostro Paese in maniera persistente, mentre –nonostante i conclamati successi tedeschi – il gap tra il reddito pro-capite di Germania e Stati Uniti è rimasto stabile.

Anche lasciando fuori la crisi recente, prosegue Lucrezia Reichlin, i cittadini tedeschi ed europei sono più poveri del 25% rispetto a quelli americani e questa differenza è molto simile a quella che si aveva quaranta o dieci anni fa.

Ancora una volta l’euro e il mercato unico non hanno provocato grandi cambiamenti.

Rispetto al “caso italiano” le deludenti performance del nostro Paese sono, dunque, da addebitare a una domanda interna che appare particolarmente depressa.

Mi permetto di aggiungere un elemento: questa depressione nasce nel 1995 all’incirca, allorquando arrivano al pettine i nodi del processo di dismissione dell’industria avviato, attraverso il ridimensionamento del sistema industriale a partecipazione statale avviato fin dagli anni’80 e la scelta di un modello di sviluppo fondato su di una produzione di beni di consumo fortemente votati all’esportazione: una produzione esasperata da un’intensificazione fortissima dei termini di sfruttamento della manodopera, dell’adozione del neo-liberismo in termini assolutamente ideologici, di adozione di un vero e proprio meccanismo di baratto tra l’utilizzo delle aree utilizzate per i grandi insediamenti industriali e la speculazione edilizia: un baratto effettuato su larga scala che ha introdotto una vera e propria “bolla speculativa”, oltre all’assalto del territorio, trasferendo così una quota rilevante del capitale disponibile all’interno del processo di finanziarizzazione esasperata dell’economia, dal quale è partita com’è noto la crisi che stiamo vivendo.

La sinistra non si è minimamente soffermata su questo tipo di analisi, accettando di fatto – per la sua parte governativa – il meccanismo neo-liberista, oppure rifugiandosi, nella sua parte “radical” o movimentista nelle logiche che hanno portato, alla fine, a sposare l’idea della fine del conflitto sociale e del trasferimento di esso all’interno della logica dei cosiddetti “beni comuni”.

In questo quadro l’Italia ha mancato anche al suo ruolo europeo, ma questo discorso andrebbe analizzato meglio in altra occasione.

Nella situazione in cui ci stiamo trovando in questa difficilissima fase appare assolutamente prioritario avanzare una proposta diversa sul piano della politica economica, chiedendo l’uscita dalla soffocante tagliola del cosiddetto “rigore” portato avanti dall’attuale governo di destra tecnocratica: governo che sta soffocando anche la stessa democrazia, trasformandola da rappresentativa a “democrazia di competenza”, diretta da presunti illuminati che hanno come programma quello di applicare i loro modelli teorici, rivolti a conservare il potere del capitale finanziario, delle cui fila dirigenti fanno direttamente parte.

Per questo motivo è necessario riflettere sulla possibilità di avanzamento di una proposta di politica economica, unitariamente sorretta nel mondo sindacale e in quello politico, tale da rappresentare un’alternativa, aggregare soggetti, fornire respiro a un’iniziativa “di periodo”.

Il concetto di fondo che è necessario portare avanti e rilanciare è quello della programmazione economica, combattendo a fondo l’idea che si tratti di uno strumento superato, buono soltanto – al massimo – a coordinare sfere private fondamentalmente irriducibili.

Una programmazione economica condotta con riferimento all’irrinunciabile valenza europea e avente al centro l’idea dell’iniziativa pubblica in economia attorno ad alcuni fondamentali campi di intervento:

1)Il territorio. Serve un piano straordinario per il ripristino dell’assetto idro-geologico del territorio che va franando dappertutto, dal Nord al Sud, sulle coste e nell’entroterra. Eguale urgenza ha, ovviamente, il tema della difesa dell’ambiente nel sue complesso, dello smaltimento dei rifiuti, della cementificazione;
2)Le infrastrutture. La situazione delle ferrovie italiane è semplicemente disastroso, così come quello delle strade e autostrade, in particolare al Sud;
3)Il nodo energetico, non risolvibile, ovviamente, con un ritorno al nucleare;
4)Il finanziamento della ricerca destinata soprattutto verso l’innovazione di processo nell’industria;
5)Il rilancio del settore industriale. La Fiat può esercitare il suo ricatto perché questo Paese è privo, da anni, di politica industriale. Siamo, per varie ragioni, pressoché privi di siderurgia, chimica, agroalimentare, elettromeccanica, elettronica. In questa situazione ormai sono asfittici e sottoposti al processo di delocalizzazione anche quei settori “di nicchia” sui quali si era basato lo sviluppo anni’80- anni’90;
6)Il rientro della programmazione pubblica nel settore bancario, con l’obiettivo principale del credito nella media e piccola industria;
7)Il rientro dal precariato e l’inserimento stabile della manodopera extracomunitaria;

Accanto a questi punti del tutto irrinunciabili ci sono da valutare anche gli elementi di spreco che vengono principalmente da due parti: il gigantismo dell’apparato politico portato soprattutto dalla personalizzazione della politica (pensiamo alla dimensione gigantesca del debito delle Regioni, elefantizzatosi dal momento dell’elezione diretta dei Presidenti), e il processo di spreco e di diseguaglianze che sarà portato dal cosiddetto “federalismo” così come questo, in maniera del tutto raffazzonato e legato a egoismi di parte è stato concepito, e il tema della riconversione ecologica di parte dell’apparato produttivo e delle prospettive di uso del territorio che pure vanno considerate con grande attenzione.

Lasciamo anche da parte, per motivi di economia del discorso, i temi dell’intreccio inedito che si sta realizzando, ormai da qualche anno, tra struttura e sovrastruttura, in particolare nell’informazione: si tratta comunque di un tema assolutamente decisivo nella lotta sociale e politica di oggi.

A questo modo potrebbe anche essere possibile inserirsi in un contesto europeo all’interno del quale sta per aprirsi un inedito livello di contrattazione, creando anche condizioni diverse di affrontamento della crisi globale.

Quella parte del movimento sindacale che non intende piegarsi al diktat in atto (sull’esempio della Grecia) e quei settori della sinistra che intendono portare avanti, assieme, un programma di opposizione e di alternativa, senza cadere nella trappola dell’omologazione ai modelli dell’avversario e senza legarsi a settori politici dai quali possono venire soltanto elementi di ulteriore sopraffazione per il movimento operaio, hanno il dovere di pensare, appunto, nei termini dell’opposizione per l’alternativa.

Raggiunta una propria autonomia sul piano programmatico e delle definizione di una soggettività di schieramento allora sarà possibile pensare a una politica di alleanze temporanee, considerando che il Paese attualmente è governato da forze chiaramente di destra (questo il giudizio che si può dare, sinteticamente, dell’attuale governo) affrontando in questi termini, di autonomia e di contributo alla possibilità di sconfiggere l’avversario principale, le prossime scadenze politiche.

* Franco Astengo – Savona, politologo