di Guglielmo Olivero –  Questa mattina, nei locali dello Yacht Club Loano, è stata presentata la nazionale italiana di vela che a luglio parteciperà alle Olimpiadi di Londra. Una cerimonia come tante, con discorsi di rito, domande, risposte, come accade sempre in queste occasioni.  Ma oggi l’atmosfera era diversa, soprattutto per l’alassino Pietro Sibello che ha sempre meno speranze di partecipare ai Giochi insieme al fratello Giampiero nella classe 49er.  Il Coni non ha concesso il permesso, complice quell’angioma che ha colpito Pietro sei mesi fa: come ha detto Rinaldo Agostini, presidente del Circolo Nautico al Mare di Alassio, la speranza è che Pietro, che sta benissimo, possa partecipare ai Giochi,lottando per una medaglia, quella stuprata (termine usato dal presidente della Federazione, Carlo Croce) quattro anni fa a Pechino (ma lo stesso Presidente non poteva far di più allora?).

Credo che non mandare Pietro ai Giochi sia una decisione sciagurata: lui sta bene ed il suo margine di rischio è minore, molto minore, di quello che correranno altri protagonisti. E poi, lasciandolo a casa, non si rischia davvero di fare un danno peggiore? Un atleta, un grande atleta, che si prepara, si sacrifica per quattro anni per partecipare all’evento più importante della sua vita, potrebbe avere delle ripercussioni sulla sua salute psicologica in caso venga negata una sua partecipazione. Sarebbe giusto pensarci. Vorrei, se mi consentite, esporre un episodio analogo, che ho vissuto sulla mia pelle. Nel 2004 ad una mia carissima amica è stato riscontrato un angioma al cervello. Esami, controesami e, come dicono sempre i luminari, l’0bbligo di una vita tranquilla. Lei era (ed è) un’appassionata di equitazione e non avrebbe resistito abbandonare la sua disciplina. Ha resistito un paio di mesi, poi venne presa da una specie di depressione. Non poteva rinunciare alla sua vita. E, con me ed altri amici, un giorno è andata in un circolo ippico ed ha partecipato ad una competizione.

Stava benissimo. Ho elencato questo esempio perchè credo che nella vita ciascuno di noi abbia un destino scritto, buono o cattivo che sia. Quello di Pietro è ascoltare il rumore del vento su una barca con il fratello Giampiero, competere, gareggiare, assaporare la gioia di una vittoria o la rabbia per una sconfitta. Il destino di Pietro è il mare, la vela. Non ne può fare a meno. E sarebbe un errore gravissimo prendersi la responsabilità di impedirgli quello che per Pietro ha un senso. Sapendo, per dirla con Vasco, che un’altra decisione un senso non ce l’avrebbe proprio.