di Alfredo Sgarlato – In un articolo sulla serie televisiva “Lost”, la più interessante del decennio scorso, ho letto che una delle maggiori fonti di ispirazione per l’autore J.J.Abrams è il romanzo “Il Terzo Poliziotto” di Flann O’ Brien (1911-1966). Caso vuole che avevo letto molti anni fa quel libro e da un po’ di tempo avevo intenzione di rileggerlo, e questo mi ha definitivamente spinto a farlo. O’ Brien, irlandese, si chiamava in realtà Brian O’Nolan e nel 1938 aveva pubblicato, a soli 27 anni, il primo romanzo “Una pinta di inchiostro irlandese” (“At swim’s two birds”), storia di uno scrittore che scopre che i personaggi del romanzo che sta scrivendo agiscono in maniera indipendente dalla sua volontà.

Accolto come un capolavoro da Joyce, Beckett e Dylan Thomas, questo libro aveva venduto poche decine di copie. In generale venne giudicato come il delirio di uno squilibrato. Il suo secondo romanzo “The third policemen” nel 1940 fu rifiutato dagli editori, per essere poi pubblicato postumo nel 1968 diventando subito opera di culto. Una delle lettere di rifiuto affermava che questo nuovo romanzo esagerava i difetti del precedente perdendone i pregi.

Dopo questo insuccesso O’Nolan cambiò pseudonimo (in Myles na Gopaleen) e genere dandosi alla satira sociale. Pubblicò molti articoli su quotidiani, finché per aver dato troppo fastidio fu licenziato. Nel 1941 pubblica un nuovo romanzo molto diverso dai precedenti “The poor mouth” (“La miseria in bocca”), a mio avviso meno godibile dei precedenti, poiché è la parodia di certa letteratura irlandese tradizionalista/pauperista che aveva successo all’epoca in patria, e per apprezzare bene le parodie bisogna conoscere gli originali.

Negli anni ’60 O’ Brien viene riscoperto e riesce a pubblicare altri due libri, “The hard life”, un autobiografia relativa all’infanzia, e “The Dalkey archive”, altra storia surreale con Sant’Agostino e James Joyce tra i personaggi, che si svolge in parte sott’acqua. La storia raccontata nel “Terzo poliziotto” è difficile da riassumere: c’è un ragazzo che rimane orfano e in collegio diventa una dei massimi esperti dell’opera del filosofo e scienziato de Selby, considerato un genio benché nessuna delle sue teorie sia accettabile (per esempio sostiene che la notte è un’illusione ottica derivante da emissioni di fumo).

Il protagonista, che non ha un nome perché non ricorda quale sia, è coinvolto in una serie di disavventure insieme a due poliziotti, che controllano l’eternità tramite macchinari e sono convinti che tra uomini e biciclette ci sia uno scambio di atomi e quindi di personalità. Una trama assurda, ma cosa c’entra con “Lost”? Semplice: il trucco narrativo che regge la storia, nascosto e lasciato all’arguzia del lettore, che ad un lettore del 1940 appariva incomprensibile, a quello degli anni ’60 geniale e oggi è persino abusato.

Il terzo poliziotto” è un’opera molto originale, certamente sconsigliata a chi pensa che l’arte debba riprodurre la realtà o che vuole rispecchiarsi nei personaggi, o forse da consigliare proprio a loro. Per chi invece concepisce la letteratura come un viaggio nell’impossibile è una lettura molto divertente.

* il trend dei desideri: rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato