di Franco Astengo – Il mondo è sicuramente cambiato per tanti aspetti, ma alcune delle dinamiche di fondo che hanno regolato e regolano l’agire economico, politico, e sociale sulla base di ben precisi “sistemi” di carattere teorico, che abbiamo chiamato ideologie assolutamente no.

La grande capacità nell’espressione di egemonia è appunto, quella, di far passare la propria ideologia come una “non ideologia” ma come un’inevitabile assunzione di buon senso comune, al grido “le ideologie sono morte”.

È ciò che sta accadendo, a livello planetario, ormai da un buon ventennio, diciamo dalla chiusura storica della divisione in blocchi e dall’esclamazione, presa per buona da molti, di Francis Fukuyama, di “fine della storia”.

In realtà i fenomeni più evidenti hanno la caratteristica del “sempre uguale”, portandosi appresso una carica ideologica fortissima e del tutto sbilanciata (oggi il prof. Panebianco, prendendo spunto dall’indicazione del candidato alla vice-presidenza degli USA per i repubblicani; parla di fine del tanto ricercato elettore “mediano”) e al ritorno a un confronto tra estremismi.

C’è molto dell’antico in questo nuovo: finanziarizzazione dell’economia, estensione della condizione materiale di classe (con la creazione di un “ventre molle” pauperizzato che, sicuramente nel “caso italiano” preferisce schiacciare chi si trova di sotto e non unirsi in un’idea di nuovo “blocco storico”), imbarbarimento nelle condizioni della produzione e delle qualità della vita.

Insomma: arretramento, a uso di una riduzione del rapporto tra politica e società, e quindi del meccanismo di regolazione democratica del consenso e del controllo sociale.

In Italia questi fenomeni appaiono del tutto evidenti da molti anni, ma non sono stati compresi dalla sinistra rinchiusa tra la vana ricerca di uno spazio residuale all’interno del nuovo quadro dominante (il governismo) oppure nel confondersi dell’indiscriminato di una protesta sociale priva di priorità politiche (il movimentismo).

Il punto di saldatura tra questi due opposti è stato ricercato nella personalizzazione della politica, che adesso sta franando nella ricerca del protagonismo populista, alimentato da un processo di utilizzo del sistema dei media che, in un primo tempo ha ovviamente favorito l’ascesa – sempre per restare in Italia – di un’estrema destra populista, ma che adesso pare molto più incerto nei suoi orientamenti di fondo.

In queste condizioni ciò che rimane di sinistra, assolutamente priva di gruppo dirigente, non può non ritrovare nella propria storia gli elementi portanti di una ricostruzione di autonomia di pensiero e di strutturazione organizzativa, inteso quale fattore prioritario per una ripresa di presenza nell’arena politica. Pensare a sistemi di alleanza con soggetti di natura profondamente diversa (PD e IDV) finirebbe con il far tramontare definitivamente ogni opportunità ricostruttiva.

Non parliamo del governo, che rappresenterebbe (come già rappresenta in gran parte negli enti Locali) il risucchio completa nella logica ideologica che intende distruggere ogni qualsiasi possibilità e forma di vera contrapposizione sociale e, di conseguenza, politica.

* Franco Astengo – Savona, politologo