di Franco Astengo – Il precipitare tumultuoso degli avvenimenti politici potrebbe portare a una campagna elettorale breve, ma particolarmente intensa e per certi versi “bruciante”. Un elemento di cui debbono tener conto coloro i quali si apprestano a sviluppare un tentativo di presentazione alle urne cercando di colmare il vuoto di rappresentatività lasciato dall’assenza in Parlamento di una sinistra d’alternativa.

Tentativo che ci pare in corso senza aver raggiunto, però, quegli elementi di complessiva strutturazione politico – organizzativa almeno sufficienti per costituire la base per un’impresa che, francamente, appare assai difficile soprattutto per via dell’elevata soglia di sbarramento: il 4%, tra 1.200.000 – 1.500.000 mila suffragi a seconda del totale dei voti validi espressi (nel 2008 furono 37 milioni, tutti oggi pronosticano un calo netto di questa cifra).

Sarà di grande importanza l’impostazione della campagna elettorale, non tanto e non solo al riguardo dell’espressione di specifici punti programmatici, ma soprattutto rispetto al discorso da svolgere al riguardo dell’insieme del quadro politico e delle dinamiche che le forze saranno capaci di determinare in una competizione che si preannuncia quanto mai combattuta, almeno sul piano verbale, con una vera e propria “corsa” all’apparire televisivo (questa non sarà certo una novità) e nel miglior uso delle nuove tecnologie.

Bisognerà non cadere in almeno due trappole: la prima quella di scendere sul terreno limitato della semplice valutazione dell’operato del governo uscente; denunciando soltanto l’aggravamento della situazione economico – sociale nel corso dell’ultimo anno si finirà con il dar fiato alle trombe della destra; la seconda quella di impantanarsi nella diatriba PD-Berlusconi che il PD stesso sta cercando di mettere su, allo scopo di prendersi la rivincita sulla bruciante sconfitta di cinque anni fa.

La politica, però, non vive di rivincite, ma del divenire insito nelle azioni degli attori che ne sono protagonisti nell’arena.

Nella prossima campagna elettorale dovrà così avere ampio spazio l’analisi della più recente “memoria storica” riguardante la fase di lunga transizione avviata fin dal 1992. Alcune cose, del tutto decisive, dovranno essere ricordate con grande nettezza facendo in modo che sul giudizio formulato attorno ad esse, poggi l’intero impianto programmatico da rivolgere al futuro.

Penso a tre fatti risultati del tutto decisivi, nel corso di questi ultimi 20 anni: la maxi-stangata inflitta da Amato nel giugno 1993 con la manovra da 90.000 miliardi di lire, nel corso della quale furono infilate davvero le mani nelle tasche degli italiani; quella maxi-stangata coprì l’adesione acritica al Trattato di Maastricht, accettato supinamente in nome di una “Europa bene in sé” fondata, da quel momento, invece che sull’allargamento nella funzione democratica delle sue istituzioni, sul monetarismo e il dominio della Banca Centrale (il significato di questo elemento lo abbiamo compreso meglio tutti, a partire dal 2008, con l’esplosione della crisi economico finanziaria); infine l’adesione della maggioranza delle forze politiche alla sciagurata idea della trasformazione del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario, con il risultato ottenuto non soltanto – e sarebbe già stato eccessivo – di considerare la governabilità quale fine esaustivo dell’agire politico ma – soprattutto – di aprire la strada a quelle forme eccessive di personalizzazione spettacolarizzata della politica che abbiamo visto in azione nel corso – appunto – di questo famigerato ventennio.

Quell’adesione portò al formarsi di un “bipolarismo all’italiana” che, alla fine, trasportato anche nel successivo sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza ha contribuito a far implodere l’intero sistema.

Nasce da questi elementi (e successivamente dalla mancata legislazione sul conflitto d’interessi e dall’aver varato la Commissione Bicamerale nella convinzione che si potesse, in quelle condizioni, addirittura modificare consensualmente fra le parti la stessa Costituzione) l’apertura alla fase dell’egemonia di Silvio Berlusconi: una vera e propria egemonia esercitata anche sugli avversari, costretti a modificare i loro orizzonti, il loro modo di agire la politica per adeguarsi a quanto imposto dal “dominus”.

Perché, è bene ricordarlo, il centro – sinistra in particolare nelle sue attuali componenti che compongono il ringalluzzito PD di oggi ma comprendendo anche il PdCI e – nel corso dell’ultima esperienza – lo stesso PRC non ancora orbato dalla scissione di SeL, è stato al governo ben 7 anni, tra il 1996 e il 2001 e tra il 2006 e il 2008, varando tra l’altro la riforma del titolo V della Costituzione sulla condizione degli Enti Locali, adottata in fretta e furia in fine di legislatura: un provvedimento rivelatosi, poi, pieno di buchi e adottato – con ogni probabilmente semplicemente per inseguire la forma del tutto negativa, con la quale la Lega Nord aveva rilanciato la frattura “centro – periferia”.

Ovviamente le responsabilità non stanno tutte negli errori di una parte: è stata ferocemente impostata, negli anni di governo del centro – destra, una strategia ferocemente populista, produttrice di grandi squilibri sociali e in grado di far allentare, complessivamente, un grado appena sufficiente di tensione etica nella qualità dell’agire politico, provocando l’emergere non soltanto di un forte “riduzione” nel rapporto tra politica e società, ma di una vera e propria “questione morale” di carattere strutturale.

La situazione, come tutti ricordano bene, è precipitata con la crisi fino a sfociare nel governo dei tecnici, messo assieme attraverso un meccanismo ai limiti del dettato costituzionale da un Presidente della Repubblica che pare interpretare assieme un ruolo da monarca e un ruolo da “deus ex machina” fino a mettere in discussione la natura parlamentare della Repubblica.

Governo dei tecnici che si è mosso in maniera feroce sul terreno di una vera e propria “ideologia di classe”.

Nel frattempo era stato scompaginato l’intero sistema dell’intermediazione politica, destrutturando i partiti e riducendoli, come nell’esempio delle primarie, a macchine di servizio per i leader, con i partecipanti ridotti al ruolo di spettatori passivi e – com’è già stato scritto – di consumatori di eventi.

La sinistra d’alternativa, se riuscirà a presentarsi al vaglio elettorale, dovrà mettere in campo tutto l’insieme di questo tipo di analisi, senza sconti per nessuno e proponendosi davvero di “rovesciare” andamento ed esito di questo ventennio.

Ho esaminato soltanto la “pars destruens” per così dire e, in quest’occasione, non mi soffermo, per evidenti ragioni di economia del discorso, su di una possibile e necessaria “pars costruens”.

Ovviamente i temi della (trascuratissima) politica estera, dell’Europa, del lavoro, dello stato sociale, di una politica economica alternativa al monetarismo, dei diritti civili, di una riaffermazione nel ruolo delle autonomie locali, del rifiuto delle privatizzazioni nel servizi essenziali e di tante altre questioni dovranno stare al centro di un discorso complesso, compiuto, convincente.

Mi limito, in chiusura, a un solo punto: quello che è ho già definito dell’agire politico, attraverso il rifiuto del presidenzialismo e della personalizzazione, dell’idea “maggioritaria”, dello “svuotamento” dei soggetti politici d’intermediazione sociale e l’affermazione di un’idea di partecipazione alla vita pubblica attraverso il recupero del concetto di rappresentanza, di esaltazione nel ruolo dei consessi elettivi (a tutti i livelli, centrale e periferico), di rapporto positivo con i nuovi movimenti sociali, al punto da far scaturire da esso elementi di forte innovazione sul piano programmatico che dovranno rappresentare, in entrambi i sensi del rifiuto – appunto – e della affermazione gli elementi basilari perché una sinistra d’alternativa adeguatamente attrezzata nella sua realtà politica e organizzativa possa risultare in grado di affrontare efficacemente la prossima competizione elettorale.

* Franco Astengo – Savona, politologo