(fp) – Giornata ingauna sabato per il regista Pupi Avati, ospite ad Albenga della rassegna “AlbengaVoltaPagina”, il ciclo di incontri con gli autori organizzata dall’Associazione Culturale “Librarsi” e dalla Libreria San Michele. All’Auditorium San Carlo – accolto dal saluto del sindaco Guarnieri e introdotto da Marco Goldberg e dal prof. Franco Gallea – Pupi Avati ha presentato il suo ultimo libro, “La grande invenzione – Un’autobiografia” (2013, ed. Rizzoli), che ripercorre – rivissuta e sublimata nella sua scrittura creativa – i tortuosi e a volte tormentati intrecci della sua vita (**).

“Il mio sogno”, ha spesso ricordato il regista, “era diventare un grande clarinettista jazz”: e difatti – allora giovane ventenne – dal 1959 al 1962 fece parte della bolognese Rheno Dixieland Band, esperienza rievocata poi nel suo sceneggiato “Jazz band” (trasmesso in tre puntate dalla RAI nel 1978), come clarinettista, avventura che si concluse con l’arrivo nell’ensemble di Lucio Dalla.

Ma se il sogno giovanile, come racconta anche nella sua autobiografia, si è poi trasformato in una lunga e fortunata carriera cinematografica, la passione per il jazz e la musica è rimasta e Pupi Avati nel pomeriggio non ha mancato ad Albenga di visitare anche “Phocus sul jazz”, la preziosa mostra fotografica promossa dall’associazione “Le Rapalline in Jazz” allestita nelle sale di Palazzo Oddo.

* Nella foto (di © Giancarlo Ferrari): Pupi Avati con la vicepresidente dell’associazione “Le Rapalline in Jazz” Giorgia Grossi firma il Libro degli ospiti alla mostra “Phocus sul jazz”

LA GRANDE INVENZIONE – Un passato fastoso, un presente difficile, e una inesauribile riserva di sogni: è l’eredità che riceve alla nascita Pupi Avati, figlio di due mondi, la ricca borghesia urbana bolognese e l’arcaica tradizione contadina di Sasso Marconi. La galleria degli antenati è unica: la bisnonna Olimpia, asolaia emigrata in Brasile in cerca di fortuna con i tre figli piccoli, il nonno Carlo che trovò moglie grazie a venticinque bignè, gli zii materni che ogni anno portavano ai Savoia le ciliegie di Sasso Marconi, il nonno Giuseppe che chiese alla Madonnina del Paradiso una grazia “fatale”, i genitori protagonisti di una incredibile storia d’amore… Con questi presupposti, come stupirsi se la tua vita diventa un’unica grande avventura, dalla via Emilia a Cinecittà? Nella Bologna del dopoguerra si svolge l’educazione sentimentale di Pupi, un ragazzo timido ma un po’ mascalzone, un perdigiorno con una bruciante passione per il jazz, un rapporto complesso con le donne, un amore irreversibile per il cinema. Poi l’addio alla carriera da musicista, la parentesi come rappresentante di surgelati, i difficili esordi cinematografici, la Roma degli artisti, l’insolito lavoro con Pasolini, i pedinamenti per conoscere il maestro Fellini, i successi di pubblico e critica. La grande invenzione racconta tutto questo e molto altro ancora. L’irresistibile capacità di invenzione narrativa che dispiega, e che rivela un Avati scrittore finora insospettato, ne fanno un grande romanzo corale, un intreccio di percorsi e di sogni che seduce il lettore trasportandolo in una singolare dimensione di realismo magico all’emiliana. Ricordandoci che la vita non è fatta solo di eventi ma soprattutto di desideri, ripensamenti, iperboli: le infinite coloriture della fantasia, della poesia dei giorni, della felicità contagiosa del racconto.