Albenga: Pupi Avati, l’incantatore familiare

di Alfredo Sgarlato – Appuntamento imperdibile, quello col regista e scrittore Pupi Avati, invitato dall’Associazione Culturale Librarsi nell’ambito della rassegna Albenga Volta Pagina, che si è tenuto sabato scorso presso l’auditorium San Carlo. Doppiamente imperdibile per chi, come me, oltre ad essere appassionato cinefilo, ha un legame particolare col cinema di Avati, nato durante i lontani anni dell’università, quando insieme agli amici scoprivamo al cineforum gioielli come “Noi tre” o “Festa di laurea” o recuperavamo in visioni notturne gemme destinate al culto come “La casa dalle finestre che ridono”.

Introdotto dal Prof. Franco Gallea, che sottolinea il valore di Avati come romanziere, sia per lo stile che per il piacere dato dalla sua lettura, il regista di Sasso Marconi racconta la propria vita e la propria arte. Ovviamente non riassumerò i molti aneddoti narrati, sia perché toglierei il gusto di scoprirli leggendo l’autobiografia del regista, “La grande invenzione”, sia perché sarebbe impossibile ricostruire la magica affabulazione creata da Pupi. L’incontro dura due ore che scorrono come pochi minuti e si vorrebbe che fossero durate il doppio. Un critico scriveva, parlando di Rossellini, che il regista dev’essere un incantatore di serpenti, e il grande regista si vede già da come conquista raccontando i propri film. Ecco, un film di Avati si intitola “L’arcano incantatore”, e Pupi incantatore lo è, ma non ha nulla di arcano, anzi, col clima che sa creare coi suoi racconti ci appare familiare, ci sembra un amico che conosciamo da sempre (e un altro che ha queste doti, lasciatemelo dire, è il nostro concittadino Adriano Sforzi).

Ascoltando i suoi aneddoti sulla vita, la famiglia, la carriera, vediamo già un film. Avati ricostruisce il mondo contadino di sua madre, e i racconti che lei faceva ai figli mescolando favola e pettegolezzo. Questo ci fa capire come l’eclettismo di Avati, capace di passare dall’horror alla commedia, dal grottesco alla nostalgia, sia l’espressione delle molte sfaccettature di una stessa matrice, apparendo quindi perfettamente coerente. Senza essere pedante Pupi ci dà poi una grande lezione: bisogna sognare e cercare di fare del nostro talento la nostra vita.

Finita la presentazione Avati, che in precedenza aveva visitato la mostra “Phocu sul jazz” apprezzandola molto, specie i ritratti di Petrucciani, si concede generosamente ai fans, con situazioni divertenti come l’incontro con lo scrittore locale Pupi Bracali, l’unico altro Pupi che Avati dice di avere mai conosciuto in vita sua. Quindi brindisi nella cantina di Dino Vio, con Pupi Avati che firma la piastrella del muretto “E ghe mettu a firma” dei Fieui di caruggi, apprezza il pigato e si mostra ai commensali come persona gentile e simpatica come spesso sono gli artisti con la A maiuscola.