(fp) – Nel giorno del 21esimo anno della strage di Capaci, manifestazione anche ad Albenga per ricordare e celebrare la memoria di Giovanni Falcone e delle vittime della mafia. A promuovere l’iniziativa, Vincenzo Munì e i ragazzi del Liceo Giordano Bruno di Albenga, “gemellati” con l’istituto “Giovanni Falcone” di Loano. Alla manifestazione erano presenti – in forma “privata” – consiglieri comunali di maggioranza e minoranza, ma una stoccata non è mancata al “sindaco e all’amministrazione comunale che, pur invitata, si è fatta notare per la sua assenza” hanno detto gli organizzatori.

Il corteo ha percorso il centro storico, per arrivare in piazza IV Novembre, dov’è il monumento ai caduti di tutte le guerre, uno dei luoghi simbolo della memoria civile cittadina. I ragazzi degli istituti Bruno e Falcone hanno ricordato le vittime della mafia e l’importanza dell’impegno civile, leggendo anche un messaggio del Coordinamento provinciale Savonese di Libera, che non ha potuto partecipare alla celebrazione.

«A più di venti anni dalla strage di Capaci e da quella di via d’Amelio – ha ricordato Vincenzo Munì ad apertura della manifestazione – oggi come allora è un dovere morale di ciascuno di noi mantenere alta l’attenzione, ricordare questi uomini, magistrati, poliziotti, carabinieri, servitori fedeli dello Stato che con altissimo senso dell’onore e del coraggio hanno sacrificato la loro vita per un ideale di giustizia e libertà. “Loro” si, veri eroi, dai quali imparare e dai quali prendere continuamente ispirazione. Senza paura. Senza dimenticarli mai. Ricordando continuamente a chiunque chi erano e perché sono morti; anche se loro non sono più tra noi le loro idee non moriranno mai e il loro sacrificio non sarà stato vano».

«Una volta Giovanni Falcone pronunciò questa frase: “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”. Oggi come allora tocca a tutti noi quindi mantenere vivo il suo ricordo e portare avanti la sua battaglia. È nostro dovere morale quindi batterci adesso affinché la loro morte non sia avvenuta inutilmente. In un paese in cui per vent’anni si è cercato sistematicamente di smantellare quelle norme nate grazie al formidabile lavoro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il c.d. “metodo falcone”, che avevano permesso di portare colpi duri alle organizzazioni mafiose, in un paese in cui qualcuno ci ha più volte detto di considerare uno stalliere mafioso un eroe, in un paese in cui ci è stato raccontato che non bisogna parlare di mafia, perché questo danneggia il nostro paese e che chi lo fa va osteggiato perché infanga la nostra reputazione, in un paese in cui una classe politica spesso impresentabile è corsa a spellarsi le mani ad applaudire i funerali di un uomo condannato per mafia, ma prescritto, senza che nessuno, se non con qualche piccola eccezione,spendesse mezza parola per omaggiare la moglie del giudice Borsellino, Agnese Borsellino spentasi nelle stesse ore, ebbene in questo paese è un dovere morale di ogni cittadino onesto rendere omaggio ai veri eroi, a quei servitori fedeli dello Stato che hanno sacrificato tutto per difendere quegli ideali di libertà, giustizia e democrazia su chi esso si fonda. È un dovere di ciascuno di noi allora urlare con forza che noi conosciamo la verità, che non ci lasceremo mai ingannare da chi vuole che su quei fatti cali il silenzio».

«Noi vogliamo ricordare i nomi di questi eroi, dei nostri eroi, di questi uomini e donne che senza paura e senza esitazione hanno combattuto la mafia e vogliamo farlo dicendo a gran voce che noi sappiamo chi erano e perché sono stati uccisi. E allora diciamoli questi nomi, cominciando dal giovane Peppino Impastato, dal capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, dal giudice Terranova, dal presidente della regione sicilia Pier Santi Mattarella, dal capitano dei carabinieri Emanuele Basile, dal procuratore capo di palermo Gaetano Costa, dal segretario del partito comunista in sicilia Pio la Torre, dal generale dei carabinieri e prefetto di palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, dal capo dell’ufficio istruzione del tribunale di palermo Rocco Chinnici, dal giornalista Pippo Fava, dai funzionari della squadra mobile di palermo Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, dal giudice Rosario Lavatino a Libero Grassi, l’imprenditore ucciso perché si rifiutò di pagare il pizzo. Sono questi solo alcuni dei nostri eroi, è di queste persone di cui dobbiamo andare fieri e che debbono sempre rappresentare per noi e per i nostri figli un punto di riferimento».

Prima della simbolica liberazione dei 21 palloncini tricolore con una delle foto storiche più note, quella che ritrae i due magistrati in sorridente complicità, Munì ha concluso la sua orazione «parafrasando due pensieri di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che seppur espressi in momenti diversi sembrano esprime un unico concetto di speranza ed ottimismo nel futuro e che ci fanno capire sempre di più quanto entrambi credessero fortemente nel proprio lavoro»: «Certo dovremmo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, ma non per l’eternità. La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio ed avrà anche una fine. La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere in questa nostra terra bellissima e disgraziata, si concluderà quando oltre ad una forte azione di repressione, nascerà un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità!».