«Bisogna far la fatica di immedesimarsi: di chiedere che cosa avremmo fatto noi allora, di riportare quella memoria all’oggi». Gad Lerner ha appena concluso la cerimonia in ricordo della deportazione degli ebrei genovesi, che avvenne proprio il 3 novembre di 70 anni fa. E lo ha fatto complimentandosi per la grande presenza di giovani: «tanti di voi sono impegnati nella solidarietà, nella difesa dei diritti – ha detto ieri rivolgendosi agli studenti – questo significa lavorare per dare un futuro a questa memoria».

Secondo i dati degli organizzatori, duemila persone – adulti, anziani, bambini, moltissimi giovani, appunto – hanno marciato insieme dalla Sinagoga al Teatro Carlo Felice: la Marcia “Non c’è futuro senza memoria” organizzata dalla Comunità ebraica e dalla Comunità di Sant’Egidio ha visto la partecipazione anche di moltissimi immigrati e la presenza ufficiale della Comunità islamica. La processione, iniziata con la preghiera in ricordo delle vittime della Shoah, guidata dal Rabbino capo nel Tempio di passo Bertora, e dalla testimonianza di Gilberto Salmoni, ha toccato i luoghi in cui avvenne la cattura di decine di ebrei genovesi, accompagnata dalle luci delle fiaccole e da cartelli con i nomi dei campi di concentramento nazisti in Europa.

A conclusione, un incontro al Teatro Carlo Felice, con la presenza del presidente del Centro Primo Levi, Piero dello Strologo, del sindaco Marco Doria, di Andrea Chiappori – responsabile genovese della Comunità di Sant’Egidio – di Ariel Dello Strologo – in rappresentanza della Comunità Ebraica – e del giornalista e scrittore Gad Lerner.

Nel silenzio della sala, sono stati letti tutti e 261 i nomi degli ebrei genovesi deportati, mentre il Sindaco Doria ha voluto ricordare il nonno materno, ebreo di Verona che fu colpito dalle leggi razziali e morì in clandestinità a Milano nel 1944.

Andrea Chiappori, responsabile genovese di Sant’Egidio, ha notato come ogni anno aumenti la partecipazione a questa marcia: «aderire – ha spiegato – esprime la scelta di non perdere la memoria, ma di spendersi perché chi viene dopo la raccolga». E anche lui ha rivolto un accorato appello ai giovani: «a non appiattirsi nella banalità e nelle ideologie, a non giustificare mai il male che si incontra, a non abbassare la guardia di fronte all’antisemitismo e al razzismo. Perché dalla ferita del tre novembre 1943 nasca anche una sensibilità alle ferite e ai dolori di oggi».