Albenga: un triste grido di dolore per la Foce del Centa

di Claudio Almanzi – “È una lettera accorata e disincantata”- hanno detto i colleghi giornalisti – non appena l’hanno letta fra la posta redazionale di questa mattina “Sembra scritta apposta per inserire questo sito fra i luoghi del cuore del Fai. Speriamo che divulgando questa lettera si possano puntare i riflettori su una situazione che parrebbe indicare una realtà completamente sconvolta dalle ruspe”. La lettera è stata inviata in redazione dalla signora Fernanda Pescetto. Vale la pena riportarla intergralmente:

“La ‘Foce’ – perché ad Albenga la chiamiamo semplicemente così – era un luogo simbolico per gli albenganesi. Un luogo vasto, verde intrico di canneti popolati da uccelli ed animali acquatici, percorso da sentieri e sentierini, che si apriva come d’incanto su di un’ampia spiaggia bianca di ciottoli levigati, splendente di sole e di mare a cui lo sfondo dell’isola Galinara dava l’ultimo tocco magico. Era il luogo della nostra infanzia, fantastica prima, e furtiva dopo, con l’inizio dei primi amori. Noi bambini con le canne costruivamo capanne che duravano giusto il tempo di un’estate e in cui trovavamo riparo per il sole e per i nostri giochi. E i pescatori della Foce? Ogni Albenganese li vede ancora con gli occhi della memoria. Stavano lì per ore e ore con le loro reti sul braccio a scrutare il punto preciso in cui le acque dolci si univano a quelle salate, pronti a lanciare abilmente le reti sui cefali che, come ogni stagione, si presentavano per risalire la corrente, depositare le uova e perpetrare così la specie”.

Una lettera davvero bella che prosegue: “Questo luogo simbolicamente ricco di identità comune è stato invaso dalla violenza di ruspe, trivelle, betoniere. Deviato lo sbocco al mare del fiume, sconvolta la naturale morfologia. Un’area pregiata e vulnerabile, in cui si sarebbero dovuti rispettare vincoli in quanto S.I.C. (Sito di Interesse Comunitario), ha visto morire il suo ecosistema di zona umida, fuggire per sempre o morire le speci stanziali e migratorie che vi abitavano e nidificavano, distrutta la flora, negato il senso del paesaggio. Avrebbe potuto e dovuto essere un parco fluviale, un momento di felice vita cittadina – in una città in cui l’assenza di spazi di vita comunitaria è totale – e una ricca opportunità per il turismo. Tutto questo sconquasso accade per consentire la cementificazione che sta per rovesciarsi, e che già incombe, sull’area circostante. Ma qualcosa possiamo ancora salvare se proponiamo al cemento un’alternativa di valori ambientali, urbani, sociali ed anche economici”. Una speranza dunque, che è anche un appello e che la nostra redazione spera non cada nel vuoto.

4 Commenti

  1. Signor Pelox
    se il centa esonda non esonda per gli alberi della foce ma per quelli più in su non so se ricorda l’alluvione la foce era tappata dalla mareggiata e il ponte si è tappato per quello che è arrivato da sopra

    Comunque complimenti per la lettera alla Sig.ra Pescetto

  2. Certo DonLurio : i piani di bacino se li sono inventati sicuramente gli amministratori comunali vecchi e nuovi perché sono dei disonesti cementificatori. Magari ritiene anche che sarebbe pure sbagliato disboscare l’alveo e rimuovere la ghiaia perché si turba la natura, poi se il Centa esonda pazienza.

  3. bella lettera, ma tra chi governa nessuno ama la natura e molti amano il cemento (anzi, i cementificatori)

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