Un secolo breve o lunghissimo?

di Alfredo Sgarlato – Anni fa ebbe successo un libro dello storico Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve, dove l’autore sosteneva che il vero ‘900 sia contenuto tra il 1914 (guerra mondiale) e il 1991 (fine dell’U.R.S.S.), in contrasto con un secolo lungo, ovvero l’800, compreso tra la Rivoluzione Francese e la Prima Guerra Mondiale. Qui però si ragionava su un’ipotesi storica. Su un piano culturale secondo me le cose stanno diversamente. Guardiamo a quell’anno chiave è il 1895: in quell’anno sono inventati il cinema e la radio, escono gli Studi sull’isteria di Freud, La macchina del tempo di H.G. Wells (secondo alcuni il primo romanzo di fantascienza), La Follia di Almayer di Conrad (secondo molti critici primo esempio del romanzo psicologico contemporaneo).

Oppure, ad un livello più pop, è nel maggio di quell’anno che iniziano le pubblicazioni regolari di The Yellow Kid, il primo fumetto di successo. È più o meno nel 1895, ma qui le fonti non sono certe, che a New Orleans inizia ad esibirsi la band di Buddy Bolden, la prima a suonare quella musica poi definita Jazz o Afroamericana che sarà la base di tutte le musiche popolari del ‘900. Del resto in ambito accademico esistevano già da qualche anno compositori come Debussy o Satie che abbandonavano i canoni del Romanticismo per fondare le basi della musica contemporanea esplorando campi come il timbro o la ripetizione. E da qualche anno Van Gogh aveva trasferito dal reale all’inconscio il soggetto dell’arte figurativa. Quindi abbiamo sufficienti indizi per pensare che sia nella cultura accademica che in quella pop il ‘900 fosse iniziato già nell’ultima decade del secolo precedente.

Ma quando è finito? Direi che sia tutt’ora in corso. La musica che ascoltiamo è quella del secolo passato: gli ultimi generi “nuovi”, hip hop e house, datano ormai all’inizio degli anni ’80 e dopo abbiamo avuto solo revival. Il cinema continua ad essere un media di successo, ma formalmente non si è aggiornato dopo le Nouvelle Vagues degli anni ’60 (il 3D, venduto come la nuova meraviglia, viene sperimentato dagli anni ’50…) e nelle playlist di fine anno continuano ad apparire nomi con una lunghissima e onorata carriera alle spalle. L’arte figurativa sembra essere piuttosto in crisi e limitarsi alle sterili provocazioni dei vari Cattelan o Hirst, niente di nuovo rispetto al Futurismo o alla Pop Art.

Un giorno pensavo che avremmo scoperto l’arte del 21° secolo quando avremmo potuto vedere all’opera gli artisti nati nel nuovo millennio. Poi, un amico mi racconta che suo figlio (8 anni) vuole suonare la chitarra e gli piacciono U2 e Led Zeppelin… questo è un esempio scherzoso ma è bello usarlo per riflettere: se è vero che negli ultimi anni è scomparsa l’autorità paterna, è anche vero che non c’è più il conflitto generazionale, che era la base delle avanguardie artistiche. Non avremo mai più arte nuova? È presto per dirlo.

Questo mio discorso ovviamente vale solo su alcuni modelli culturali. Potremmo anche, partendo da un altro punto di vista, farne uno totalmente diverso. A fine anni ’70 escono alcuni film come La febbre del sabato sera, Rocky, American Gigolò, all’epoca snobbati dalla critica, eppure molto interessanti sul piano dei contenuti. Tutti narrano di una riscossa sociale, ma puramente individuale e centrata sul corpo del protagonista. Quindi una narrazione post ideologica e non più collettiva, come invece era stato dalla rivoluzione francese al ’68. In tal caso avremmo un ‘800 e un ‘900 quasi indistinguibili, e poi una nuova era postmoderna, ancora molto da decifrare.