L’enigma di San Calocero: era… “terrone”?

di Sadra Berriolo – Presentato sabato ad Albenga lo splendido volume sullo spazio archeologico di San Calocero al Monte. Il libro comprende innumerevoli contributi di studiosi e specialisti di varie discipline, in modo da dare al lettore una visione ampia per poter collocare gli scavi di Albenga non solo nell’ambito archeologico ma anche ecclesiastico, storico, religioso, umanistico, di vita quotidiana. Sfogliandolo velocemente trovo svelato l’enigma, termine usato dallo studioso Paolo Tomea, che mi perseguitava da tempo. Era di provenienza Padana! Citerò alcuni passi del lavoro di Simona Gavinelli che si trova appunto nella pubblicazione. Scarne sono le notizie sulla figura del santo e tutte di natura agiografica ma difficilmente verificabili anche cronologicamente.

Comunque: «la vicenda del santo è incastonata nella legenda del martirio di Faustino e Giovita, patroni di Brescia. Egli compare come comprimario all’interno di una rassegna di santi legati alla stessa città, come il vescovo Apollonio, oppure collegati con ulteriori diocesi dell’Italia Nord-Occidentale, quali San Calimero di Milano, San Secondo di Asti, San Marziano di Tortona». Fu poi molto probabilmente martirizzato, tramite decapitazione, ad Albenga e nell’844 fatto traslare a Civate, vicino a Como, dall’Arcivescovo di Milano Angilberto

II. Perchè? Secondo alcuni l’ipotesi più accreditata è che, in epoca carolingia, vi fu la necessità di reperire ovunque spoglie e reliquie, che sarebbero state «un valido strumento pastorale prescritto dalle linee di politica ecclesiastica e caldeggiato dai vertici imperiali come coesivo sociale per un maggior controllo della popolazione». Per contravvenire alle disposizioni espresse nel 386 dal Codice Teodosiano in merito all’inamovibilità dei corpi inumati, si doveva trovare come scusa il pericolo di profanazione esterna. Il monastero di Albenga essendo in zona suburbana, non lontana dalla via Julia Augusta e a ridosso del porto, sempre a rischio di scorrerie arabe, era quindi a rischio. Quindi se lo portarono via.

Possiamo quindi stare tranquilli che non va ad aumentare il numero dei tanti meridionali immigrati, anzi fu precursore di “vate” padani giunti a predicare anche da noi. Non capisco però come mai non ci siano bambini ad Albenga battezzati col suo nome. Paura di confonderli con Calogero?

* La Nonna del Corsaro Nero: la rubrica Corsara di Sandra Berriolo

3 Commenti

  1. F. SAVIO, San Calocero e i monasteri di Albenga e Civate, in “Rivista storica benedettina”, 9 , 1914

    Ad Albenga, d’altronde, nel cui nome si ravvisa la radice “alb” che in celtico raffigura l’oppidum e che guardacaso ritroviamo in uno dei primi nomi dati, secondo Paolo Diacono, all’insediamento urbano di Milano (Alba Insubrium), è sopravvissuto fino ai nostri giorni il complesso del monastero di San Calocero, ormai abbandonato e trasformato in zona archeologica, che si vuole sorto presso il luogo del martirio e che avrebbe custodito le spoglie mortali del Santo evangelizzatore della zona, finché queste non vennero traslate nella chiesa della città. Ma un’altra tradizione, che sembra cozzare con quella ligure e che ha diviso gli studiosi, ci dice anche che il luogo di sepoltura attuale delle spoglie mortali di San Calocero è Civate, paese del Lario Lecchese. La tomba attuale è custodita nella chiesa, dedicata appunto al Santo, edificata all’interno delle mura del paese; ma pare che originariamente le spoglie fossero state traslate nella chiesa di San Pietro al Monte, eretta in una zona verosimilmente sacra fin dai tempi dei Celti, come sembra dimostrare la Leggenda di San Pietro al Monte di Civate, in cui parte rilevante ha la presenza di una fonte d’acqua dai poteri miracolosi. Dall’altro versante del Monte di Civate, poi, sorge un altro paese, Caslino d’Erba, la cui principale attrazione è data dalla chiesa romanica della Madonna di San Calocero, in un’area sacra ove venne rinvenuta un’interessante lapide romana in cui, seppur con qualche dubbio e difficoltà, sembra potersi leggere il voto che un fedele fa “alle Linfe e alle Acque”, sembrando darci la conferma così del fatto che l’area in questione fosse in origine un vero e proprio monte sacro, sede terrena degli spiriti delle acque.

    Va poi ricordato che il luogo dell’effettivo martirio del Santo è situato dalla tradizione di nuovo presso l’acqua – alla foce di un fiume. E a questo proposito infine va notato che sia la piana di Albenga, creata dal fiume Centa, che la zona di Civate e Caslino, erano in passato soggette a frequenti alluvioni e frane (Caslino ad esempio venne addirittura abbandonato e ricostruito metri più a valle – restando l’unico edificio dell’insediamento originario proprio la chiesa della Madonna di San Calocero), dalle quali le popolazioni esasperate speravano di potersi proteggere affidandosi all’intermediazione delle divinità – che originariamente erano di tradizione celtica, per fondersi poi con quelle cristiane.

  2. non c’entra, ma consiglio a tutti gli appassionati d’arte di visitare la chiesa di San Torpete (che poi sarebbe Saint Tropez) a Genova

  3. Io non credo che fosse terone anche se il nome è piu’ trinacrico che della val trompia… Sul perchè non si battezzino i bambini con il nome del Santo mi pare evidente che sia una questione solo di mode. Oggi anche i siculi i bambini li chiamano Gienny, Sammanthha, Luccrezia, Valentina, Debborahh, e non piu’ Santuzza, Incoronata, Crocefissa, Carmelina, etc…:-)

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