Rubrica – Riflessioni… sul grido di dolore dell’umanità e del pianeta

di Maurizio Natoli Questo è il testo letto da Alessandro Damerini e da Bruno Robello De Filippis alla fine della prima parte del concerto per il 150° dell’unità d’Italia tenuto da Massimiliano Damerini (i mille volti di Liszt) il 17 Marzo al S. Carlo di Albenga, appena prima dell’esecuzione di ‘In festo transfigurationis Domini nostri Jesu Christi’.

È solo una breve riflessione sul grido di dolore dell’umanità e del pianeta, ci è sembrato giusto – anche se in un momento di gioia – ricordare.

«Ero nella mia stanza con un altro prete alle 8:15, quando improvvisamente vedemmo una luce accecante, come un bagliore al magnesio. Non appena aprii la porta che si affacciava sulla città, sentimmo un’esplosione formidabile simile al colpo di vento di un uragano. Allo stesso tempo porte, finestre e muri precipitarono su di noi in pezzi. Salimmo su una collina per avere una vista migliore. Da lì potemmo vedere una città in rovina: di fronte a noi c’era una Hiroshima decimata. Poiché ciò accadde mentre in tutte le cucine si stava preparando il pasto, le fiamme, a contatto con la corrente elettrica, trasformarono la città intera in un’enorme vampa. Non dimenticherò mai la mia prima vista di quello che fu l’effetto della bomba atomica: un gruppo di giovani donne, di diciotto o venti anni, che si aggrappavano l’un l’altra mentre si trascinavano lungo la strada. Continuammo a cercare un qualche modo per entrare nella città, ma fu impossibile. Facemmo allora l’unica cosa che poteva essere fatta in presenza di una tale carneficina: cademmo sulle nostre ginocchia e pregammo per avere una guida, poiché eravamo privi di ogni aiuto umano».

Erano le parole di padre Pedro Arrupe, futuro generale della Compagnia di Gesù

Era il giorno in cui i cristiani di tutto il mondo celebrano la Trasfigurazione.

Era il 6 Agosto.

Era l’anno 1945.

66 anni dopo il Giappone è stato nuovamente colpito da una disgrazia immane, della quale ancora non conosciamo la reale portata e le vere conseguenze.

Abbiamo veduto, attraverso i teleschermi, la stessa scena angosciante: laddove era la furia del fuoco, ora quella della terra e dell’acqua, dov’era la luce abbagliante dell’atomo liberato, abbiamo visto il cielo fattosi, ad un tratto, di piombo.

La stessa ombra, nera, ha percorso il pianeta facendolo ancora una volta rabbrividire.

Le grida di dolore dei morti, i morti di Haiti, del Cile, di Sumatra, della Cina, ma anche della nostra Italia, hanno scosso la Terra dal profondo, e queste grida sono destinate a moltiplicarsi.

Grida oramai silenti, di gente abituata ai sussulti della terra, grida di gente che, come tutti, sapeva di dover morire, ma non in quel momento, non là, non così.

Eppure nella catastrofe giapponese non è stata sufficiente l’opera della Natura violata, piegata e piagata, l’incubo con la luce del giorno non si è dissolto, ha anzi mostrato la sua faccia più beffarda nel fumo, denso di particelle mortali che corre nei cieli avvelenando la nostra acqua, il nostro cibo, il nostro mondo.

Anzi, il mondo dei nostri figli…

Mai come adesso tutti quanti abbiamo il dovere, sacro, di metterci in ascolto di noi stessi, non più di desideri insignificanti che ci impoveriscono invece di arricchirci, sia che essi vengano esauditi, sia no.

Dobbiamo reimparare ad ascoltare la Terra, ritornare a vedere nel miracolo di una pianticella che, ostinata, scava il suo cunicolo verso la Luce, la metafora di ciò che dovremmo noi stessi fare.

Credendoci più capaci del Creatore abbiamo ricombinato le parole con l’idea di scrivere un libro più nuovo e più bello del Suo.

Invece dell’attenzione e della compassione che ci era stata data, moneta inesauribile, abbiamo sparso sangue ed ingiustizia, sapevamo e non abbiamo voluto vedere.

Bambini curiosi del male abbiamo inflitto sofferenze crudeli.

Genitori e custodi saremmo dovuti essere, di tutto il Creato, siamo stati invece aguzzini ed avvoltoi.

Ma forse non tutto è perduto, l’uomo è capace di volare con gli Angeli sulle ali del suo spirito immortale, anzi, più in alto degli Angeli, senza temere, guidato dalla bussola della coscienza risvegliata, con la quale sapere dove sia il basso e dove l’alto.

Non possiamo più mostrare indifferenza, ogni mano tesa a chiedere aiuto, ogni occhio lucido di lacrime, ogni campo ridotto a deserto, animale torturato, ogni fiume avvelenato o ghiacciaio ingrigito di fuliggine, ogni albero bruciato, ognuno di essi pretende giustizia, e dove la razza dell’ uomo non saprà fare giustizia, l’intelligenza del Creato – qualunque sia il dio nel quale crediamo – saprà invece porre rimedio.

Ci dicono di non prendere decisioni sotto lo slancio dell’emozione.

Ma cosa, se non il desiderio di provare emozioni ci mantiene vivi, cosa ci porta a perdere il fiato di fronte alla grande Arte, ai grandi eroismi, allo spettacolo che la Vita ci schiude tutti i giorni?

Emozione ed ‘Intelletto d’Amore’, come lo chiamava il Sommo Poeta.

Ebbene, l’emozione non può essere intrinsecamente malvagia se tutti noi vibriamo di armonie poderose e orgoglio di Patria, sgomenti di fronte al genio del Compositore ed al ricordo del sacrificio di quelli, sognatori e soldati, che hanno colorato la nostra bandiera con il verde dei campi, il bianco della purezza ed il rosso del loro sangue.

L’emozione non è cosa malvagia se guidata dall’ ‘Intelletto d’Amore’, procede sicura nella strada della Vita, si volge con un sorriso a chi soffre, porge un fazzoletto immacolato a chi lacrima, spende una parola o un semplice pensiero per chi domanda conforto.

Era il 6 Agosto, giorno della Trasfigurazione.

Orientiamo il nostro pensiero a tutte le vittime, di tutti i terremoti e tutte le guerre ed al nostro pianeta sofferente, e che la misericordia divina ci possa aiutare a riconciliarci con il Tutto e ad orientare positivamente i nostri pensieri e quelli di chi decide e ci governa.

da Flatlandia: la rubrica Corsara di Maurizio Natoli

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