Compleanni 2: Dario Fo

di Alfredo Sgarlato – Dopo Bertolucci un altro tra gli italiani più illustri ha compiuto gli anni nel mese dedicato all’anniversario dell’Italia unita: Dario Fo (24/3/1926). Fo è un architetto mancato, lavorando su un progetto ebbe modo di scoprire alcuni abusi e questo fu la molla che lo spinse a darsi alla politica. Ma non da comiziante ma da teatrante.

Fo ha avuto esordi nel cinema, campo in cui gli attori di teatro dalla forte fisicità non hanno però grande fortuna, vedi Walter Chiari e oggi Paolo Rossi e molti altri (diverso il caso di Carmelo Bene che faceva il proprio cinema e basta). Carlo Lizzani voleva farne lo Jacques Tati italiano e girò “Lo svitato” costruendolo tutto su di lui. Il film fu un insuccesso e Fo, dopo una parte in “Souvenir d’Italie” di Pietrangeli si darà alle altre forme di spettacolo. Al cinema riappare solo nel 1989 in “Musica per vecchi animali” unico film diretto dallo scrittore Stefano Benni, peraltro non eccezionale.

Fo si dedica anche alla televisione: conduce una Canzonissima nel 1962 che sarà al centro di un colossale caso di censura, non tanto per la satira politica quanto per aver affrontato il tema, taboo nell’Italia del boom economico, delle morti sul lavoro, che gli costerà un’assenza dalla TV fino al 1977. Ritorna nella Tv della rinnovata RAI2, che insieme all’esplosione delle TV private inizierà quel mutamento antropologico degli italiani che vediamo oggi compiutamente.

Notoriamente la parte centrale della carriera di Dario Fo è il teatro. Ha scritto una trentina di commedie, rappresentate in tutto il mondo. “Non in Unione Sovietica” ribattono i cretini ideologici, che non sanno che è stato Fo stesso a rifiutare le tournèe in Russia perchè le sue opere sarebbero state comunque censurate. Dovendo scegliere le opere più significative di Fo indicherei “Mistero Buffo”(1969) e “Morte accidentale di un anarchico”(1970). La prima, basata sui Vangeli apocrifi e sulla devozione popolare, ricorre all’uso del “grammelot”, ovvero un linguaggio inventato basato su un miscuglio di dialetti e italiano medievale. La seconda è la storia di Andrea Salsedo, amico di Sacco e Vanzetti, morto in questura dopo un interrogatorio, vicenda peraltro identica a quella di Pino Pinelli.

Culmine della carriera di Fo e delle polemiche intorno alla sua arte è il premio Nobel per la letteratura ricevuto nel 1997. Si disse che era assurdo premiare un autore la cui opera sembrava indissolubile dalla propria interpretazione (come si diceva, per esempio, di Gaber). Ma oggi, dopo un periodo di timore reverenziale, molti attori mettono in scena Fo, dal ligure Mauro Pirovano a Paolo Rossi, suo allievo, dalla Comedie Francaise a compagnie inglesi, americane, coreane, cinesi. Peraltro fu proprio intenzione della giuria del Nobel cominciare a svecchiare il premio allargandosi a forme “alternative” di letteratura (ecco, qualcuno ha detto che Fo ha vinto quindi il Nobel che spettava a Bob Dylan… urge consacrazione per il menestrello di Duluth!). E, non ufficialmente, il Nobel a Fo era la risposta a chi dice che lo vincono sempre degli sconosciuti. Si è detto che è stato un premio politico. Ma il Nobel è dichiaratamente un premio politico. Altrimenti non ci sarebbe stato l’ostracismo a Borges, uno dei due o tre maggiori scrittori del secolo e i molti premi a scrittori rispettabilissimi ma francamente minori.

Negli ultimi anni Fo si è dato alla scrittura di libri e alla divulgazione della storia dell’arte antica italiana, con ottimi risultati. Mi piace chiudere con due citazioni: la prima è di Tommaso Labranca, uno dei più acuti opinionisti in circolazione, che fa notare in un bell’articolo come in un mondo dominato dal piagnisteo Fo vince con l’arma dello sghignazzo. La seconda è che dietro ogni grande uomo c’è una grande donna e forse Dario Fo non avrebbe fatto nulla senza la sua musa Franca Rame, che ha pagato persino subendo la violenza di un gruppo di fascisti la sua devozione a Dario e all’Arte.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato