Registi che adorano le donne

di Alfredo Sgarlato – Francois Truffaut diceva che il cinema è far fare cose belle a donne belle. Il concetto di cose belle secondo Truffaut rimane poco comprensibile, dato che in molti suoi film la protagonista uccide il marito o l’amante. Però che amasse, anzi adorasse le donne non ci piove. Ascoltate il monologo di Charles Denner in “L’uomo che amava le donne”: fa impallidire qualsiasi trattato sul desiderio maschile. Si potrebbe fare una controstoria del cinema basandoci sul rapporto tra i registi e le donne.

Hitchcock per esempio le odiava: basta vedere che fine gli faceva fare e pare che fuori dal set le trattasse ancora peggio. Del resto era inglese. Lars von Trier odia le donne, anche se probabilmente non quanto odia gli spettatori. C’è un indizio per capire se il regista è uno di quelli che adorano le donne: se fa primi piani a tutto schermo della protagonista, come quelli che fanno Bergman, o Godard, o quelli di Zhang Zi Yi in “2046” di Wong Kar Wai (molto apprezzati dagli spettatori) o quelli di Wynona Ryder in “Alien 4” di Jeunet vuol dire che è follemente innamorato della sua attrice.

Anche Tarantino, non lo credereste, ma è uno che adora le sue attrici. Si può notare, seguendo l’evoluzione dei personaggi femminili, come la sua rappresentazione della vita evolva attraverso essi. Nel primo “Le iene” non ci sono donne, se non nelle chiacchiere al bar, protagonista è una gang (la gang degli adolescenti? Se non fossero spietati assassini…). In “Pulp fiction” la donna o è compagna di scorrerie (Honeybunny) o totem (Mia Wallace), ancora una visione adolescenziale. “Jackie Brown” finalmente è incentrato su un personaggio femminile, come “Kill Bill”, in cui Uma Thurman evolve nel corso del film da vendicatrice a sposa a madre. Per finire con “Bastardi senza gloria”, dove ad una donna (la splendida Melanie Laurent) viene affidata l’uccisione di Hitler, facendone così il motore della Storia.

Vi sono poi registi ossessionati dalle donne, in particolare dalle fanciulle in fiore. Lattuada ne fu il capofila: si appostava davanti ai licei per individuare le future protagoniste. Ma non aveva secondi fini, era un vero gentleman. Fu così che trovò Jacqueline Sassard, bellissima interprete di “Guendalina”, uno dei capolavori sconosciuti del cinema italiano, poi scelta anche da Chabrol, Losey, Zurlini, Pietrangeli. Altri adoratori delle fanciulle in fiore sono l’ apparentemente apollineo Rohmer e il più psicopatico Polanski. Su questo tema si potrebbero scrivere decine di volumi, lo spazio è tiranno, per cui concludiamo con quelli che a mio immodesto parere sono i due massimi esponenti della settima Arte: Kubrick e Fellini.

Kubrick è un nevrotico ossessivo, quindi per lui le donne quasi non esistono, perchè sesso e amore implicano la perdita del controllo (tema centrale del cinema di Kubrick è il fallimento, dovuto ad un elemento casuale che sfugge al controllo). A volte il personaggio femminile fa da motore della vicenda, come nei suoi film considerati erroneamente erotici, “Lolita”, il suo film più politico e autobiografico, dove la storia d’amore è solo il pretesto per parlare del maccartismo, del controllo sociale, della mediocrità della cultura americana, dell’esilio. E “Eyes Wide Shut” denuncia di una società che sembra sessuomane ma è sessuofoba. Il cinema di Fellini, perlomeno nella fase centrale della carriera, è la perfetta interpretazione di quella che Jung chiamava “funzione riflesiva”, ovvero la maturazione della psiche, che avviene nel confronto con le figure archetipe dell’inconscio. Figure femminili, perchè Fellini nei suoi film affronta il mistero, che per lui, eterno adolescente italiano di provincia, è la Donna.

Post Scriptum. Mentre meditavo questo articolo ho sentito alla radio un’intervista ad una giovane regista francese, che diceva di adorare Truffaut, ma che secondo lei ha un punto di vista troppo maschile e nei suoi film la donna spesso è sminuita.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato