Political Essay – La democrazia sospesa

di Franco Astengo – Nel corso dei tumultuosi giorni dell’entrata in carica dell’attuale governo, da destra si lanciò un allarme riguardante la “sospensione della democrazia”, considerando l’iniziativa del Presidente della Repubblica ai limiti della legalità costituzionale e derivante da una pressione dall’esterno che aveva prodotto, alla fine, una sorta di “commissariamento” del Paese e un evidente esonero del Parlamento dalle sue proprie funzioni.

Adesso, a distanza di un paio di mesi, ritengo si possa ragionare in profondità su quelle affermazioni, dettate al momento da evidenti scopi propagandistici, ed entrare nel merito di ciò che sul serio emerge in tema di possibile “sospensione della democrazia”.

Il governo Monti, intanto, ha assunto provvedimenti molto forti e importanti sul piano economico e sociale colpendo, almeno a mio personale giudizio, i settori più deboli della società, anche attraverso provvedimenti non molto comprensibili, senza alcuna intenzione di esercitare, all’interno della crisi, una qualche funzione di riequilibrio, anzi muovendosi distintamente sul terreno di una recuperata “dimensione di classe” da parte dei poteri più forti.

Il Parlamento ha approvato i provvedimenti del governo, salvo opposizioni minoritarie ed espresse in forma propagandistica e strumentale, mentre fuori dall’Aula, per preciso merito della CGIL si è espressa, invece, una opposizione in una forma radicata nella realtà delle contraddizioni sociali del Paese, contraddizioni purtroppo non rappresentate in Parlamento.

Insomma: in Parlamento c’è un buco, grosso, che riguarda la presenza della sinistra.

Una affermazione credo incontrovertibile, alla quale ne va aggiunta un’altra, solo apparentemente paradossale: il vero punto all’interno del quale è sospesa la democrazia in Italia, e il complesso del senso civico, si è dimostrato essere proprio il Parlamento.

Parlamento che dovrebbe essere, secondo il dettato Costituzionale, il luogo deputato al confronto politico, lo “specchio del paese” secondo la definizione togliattiana.

Ruolo di confronto politico ormai completamente smarrito, secondo l’accezione comune, essendo ormai tale funzione delegata ai talk-show televisivi.

L’idea più forte del Parlamento come luogo vero della “sospensione della democrazia” è apparsa, però, evidente, nel momento in cui il Governo (che sta facendo il suo mestiere) ha chiamato deputati e senatori a concorrere, concretamente nei numeri, a determinare pesi e misure della pesantissima manovra finanziaria in atto.

La reazione dei componenti di Camera e Senato a questa richiesta è stata, non tanto di difesa delle prerogative di autonomia dell’Istituzione come accortamente si è tentato di far credere, ma di furiosa chiusura corporativa.

Si è tanto parlato di “lobby” contrarie alle liberalizzazioni (di cui mi permetto di dubitare fortemente circa l’efficacia) ma la reazione dei parlamentari, nel loro complesso, al tentativo di mettere mano a prebende e privilegi, il cui mantenimento appare del tutto odioso alla gran parte dell’opinione pubblica, può ben essere stigmatizzato come corporativo.

Le ragioni di questo comportamento?

Molto superficialmente mi limito a individuarne un paio, anche se la riflessione andrebbe assolutamente approfondita al meglio:

1)Il crollo nel ruolo dei Partiti, nella loro trasformazione verso il “partito pigliatutti” e, addirittura, il “partito-personale-elettorale” che li ha trasformati in una sorta di “agenzia della governabilità” sia a livello locale sia a livello centrale.

2)La legge elettorale, che ormai da un tempo immemorabile per i tempi della politica di oggi (dal 2006) si è posta quasi come un diaframma naturale nel rapporto tra società e politica, impedendo il confronto necessario e la selezione dei quadri dirigenti.

Due punti molto banali, sui quali però la discussione non si è aperta in alcun modo, e ai quali va aggiunto il carico di responsabilità che le forze politiche devono essere chiamate a corrispondere nella crescita del peso della crisi nel nostro Paese.

Abbiamo avuto, per anni, un pessimo governo ma l’opposizione non è stata capace di proporre un’alternativa: un’altra banalità di cui però non va smarrita la memoria.

In sostanza, nella crisi italiana, emergono assieme i temi della crisi di sistema, del deficit nei meccanismi concreti di possibilità di esercizio della democrazia da parte dei cittadini, di assenza di rappresentatività politica.

Un bel guaio, a pensarci.

* Franco Astengo, politologo